L’impatto del video streaming sul modello di business della banda larga nelle zone rurali americane attraverso lo studio degli economics del middle mile

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Questo articolo trae spunto da una research note[1] di una società di consulenza basata in Danimarca che esprime il suo punto di vista su un argomento al momento molto controverso nello scenario mondiale delle telecomunicazioni ed in generale del mondo digitale e delle infrastrutture che sono a supporto del suo sviluppo

Di Massimo Comito

Una questione che interessa tutte le istituzioni (governi, commissioni, corpi regolatori, operatori, investitori, organizzazioni internazionali) nelle principali aree geografiche del mondo dove, dagli Stati Uniti all’Europa al paese più digitalizzato al mondo e cioè la Corea del Sud, si sta approfondendo il complesso tema di individuare quali attori, sia privati che pubblici, devono contribuire, con necessarie ed ingenti risorse economiche, al superamento del digital divide che affligge diverse comunità di cittadini.

In diverse forme e con diversi meccanismi, dalla “fair share contribution” europea alla “network usage fee” sud coreana per arrivare al finanziamento dell’USF (Universal Service Fund) nord americano, si evidenzia il tentativo di far partecipare equamente tutti gli stakeholder coinvolti nella enorme sfida di finanziare lo sviluppo delle infrastrutture necessarie: gli ISP (Internet Service Provider), le grandi telco, i CAP (Content Application Provider) ed in generale le cosiddette Big Tech, i governi.

Negli Stati Uniti, il Congresso è parecchio impegnato a rivedere la propria politica industriale sull’ultra-broadband per garantire la sostenibilità finanziaria delle reti ed insieme alla FCC (Federal Communications Commission), che ha presentato recentemente una relazione sul futuro del servizio universale, ha ravvisato la necessità di avviare un procedimento formale sulle future esigenze a supporto delle tecnologie di ciascun segmento delle reti che sono esse stesse piattaforme di innovazione per stimolare la concorrenza e la crescita dei contenuti e dei servizi di terzi, anche delle Big Tech.

Secondo la FCC, ancora il 22% delle zone rurali americane, le aree del paese che più soffrono dei problemi legati alla mancanza di banda larga ed ultra-larga, ovvero circa 13 milioni di persone, non hanno possibilità accedere ad Internet ad alta velocità e cioè con accessi che consentono di avere almeno 25Mbps in download e 3 in upload, secondo la definizione vigente. Va comunque sottolineato che l’assenza di accessi a banda larga adeguati nelle aree rurali è un problema presente anche in Europa e in tante altre regioni del mondo.

Come già accennato in un mio precedente articolo[2], l’amministrazione Biden ha recentemente chiesto 100 miliardi di dollari da stanziare per il superamento del digital divide con scelte tecnologiche “future proof” ovvero scelte e soluzioni che dovranno essere valide per tanti anni a venire. L’obiettivo, tra l’altro messo in evidenza dalla pandemia di Covid, è chiaro: supportare senza alcun tentennamento gli americani per gestire al meglio il traffico dati originato da applicazioni, socialmente importanti, per il lavoro, la scuola e la sanità, con il contributo di tutti gli stakeholder.

Altra importante costatazione è che, accanto a queste ultime applicazioni, ci sono quelle dedicate all’intrattenimento per il video in streaming che pochi operatori globali gestiscono, da Netflix a YouTube [Alphabet/Google] ad Amazon Prime a Disney+/Hulu e Microsoft Xbox, che producono una mole di traffico enormemente superiore e che devono comunque essere oggetto di grande attenzione perché richieste da un numero sempre maggiore di cittadini.

Nella su menzionata differenza fra i volumi di dati originati dalle diverse applicazioni si fonda la tesi circa la totale diversità dei requisiti infrastrutturali necessari per supportare l’intrattenimento video in streaming che esporrò fra poco.

Senza dilungarmi sui tantissimi argomenti a supporto delle diverse tesi su chi deve contribuire o meno agli investimenti verso una piena digitalizzazione  -ISP/telco da un lato e CAP/Big Tech dall’altro, ciascun raggruppamento con schiere di propri consulenti che contribuiscono a spiegare le ragioni degli uni degli altri- questo articolo vuole approfondire un particolare segmento delle reti di telecomunicazioni, il cosiddetto “middle mile” che, un report dello scorso anno richiamato dalla research note, approfondisce attraverso l’analisi degli investimenti e dei conti economici di quattro ISP nord americani, che operano nelle rispettive aree rurali del paese costruendo e gestendo reti in fibra ottica fino a casa del cittadino e la sfida che questi ISP stanno affrontando per recuperare i costi di rete del middle mile dovuti al continuo aumento del traffico di streaming video.

Per comprenderne l’importanza, nel recente “Global Connectivity Report 2022”, l’International Telecommunication Union (ITU), una delle agenzie specializzate delle Nazioni Unite, ha evidenziato la criticità della connettività relativa al middle mile e l’urgenza di colmare il divario di finanziamento, in particolare con il servizio universale, raccomandando di ampliare sia la base dei contributori che l’ambito dell’investimento per sostenere la distribuzione e soprattutto l’adozione dei nuovi servizi.

Prima di addentrarmi nel contenuto specifico, qualche parola però va detta sul segmento intermedio o middle mile così come definito dal Notice of Funding Opportunity (NOFO) di maggio 2022, nell’ambito del Middle Mile Grants Program autorizzato dalla cosiddetta Bipartisan Infrastructure Law che regola i finanziamenti federali americani, su base competitiva e neutrale dal punto di vista della tecnologia, per la costruzione, il miglioramento o l’acquisizione di infrastrutture middle mile.

Genericamente si intende qualsiasi infrastruttura a banda larga che non si collega direttamente ad un utente finale (ovvero la parte di rete chiamata ultimo miglio o “last mile” e cioè le linee telefoniche locali in rame, i cavi coassiali o la fibra ottica, fino a casa del cliente) ma il NOFO specifica dettagliatamente cosa comprende: fibra spenta affittata, trasporto fra centrali, punti di scambio neutrali (Internet eXchange Point), backhaul, stazioni di atterraggio neutrali di cavi sottomarini, cavi sottomarini, trasporto verso data center, apparati di telecomunicazione, trasporto di accesso ad apparati speciali di storage o di cashing, infrastrutture a banda larga cablate o anche con capacità con ponti radio a microonde, accesso a torri e altri servizi simili, infrastrutture per reti private wireless a banda larga, come torri, fibra di backhaul e collegamenti a microonde alle torri stesse.

Anche ai non addetti ai lavori, appare chiaro che il middle mile comprende una serie di infrastrutture che, pur non raggiungendo l’utente finale e non essendo definite reti di accesso in senso stretto, aggregano grandissime quantità di traffico da trasportare tra punti diversi e più o meno lontani di una rete, per es. di un ISP ma non solo, e quindi altrettanto fondamentali per la connettività a banda larga almeno quanto il segmento last mile.

Ritornando ai quattro ISP, essi offrono accessi a banda larga operando in quattro diverse regioni rurali degli Stati Uniti, hanno una media di 20.000 clienti ciascuno e gestiscono una rete che impatta su una media di circa 4.800 chilometri quadrati di superfice geografica, per dare un riferimento un’area grande più o meno quanto l’italiana Molise.

L’analisi effettuata entra nel merito della sostenibilità economica degli investimenti fatti nel loro complesso dai quattro ISP rurali sia per il last mile sia per il middle mile -quest’ultimo per sua struttura un segmento di aggregazione e smistamento di traffico e fortemente influenzato dalla crescita esponenziale del traffico di streaming video- rispetto ad un tariffazione flat (non a consumo), per certi versi l’unica sostenibile dai clienti finali, che non riesce a sostanziarsi, in termini di costi ed investimenti incrementali necessari. Emerge che la tariffazione non a consumo e l’aumento di tale tipo di trafficorappresenta una vera e propria sfida per tutti i fornitori di banda larga particolarmente per quelli che operano nelle aree ad alto costo e poco servite.

Approfondendo, per il periodo 2017-2020, i prezzi prevalenti dei servizi a banda larga, dei servizi di intrattenimento video in streaming, il costo delle reti per il middle e il last mile e il livello e il tipo di traffico su queste reti rurali a banda larga -suddiviso per tipo di servizio e fornitore di intrattenimento video in streaming- l’analisi si spinge ad una stima in termini di aumento dei costi legati alla crescita del consumo di intrattenimento video in streaming per tali ISP, partendo ovviamente dalle statistiche di trasporto dei dati degli ISP, assegnando parte dei loro costi dichiarati ai servizi di streaming video e confrontando il tutto con i ricavi stimati che i fornitori di servizi di streaming ottengono dagli abbonati alla banda larga degli ISP.

Considerando un prezzo medio di 50 dollari al mese per abbonato dei servizi a banda larga, emergerebbe che i relativi ricavi per l’ISP sono sì sufficienti a coprire il costo dell’ultimo miglio della rete e i suoi costi operativi, ma non il costo del capitale del middle mile, un costo separato che, soprattutto, varia in base alla numerosità e tipologia degli apparati e, ovviamente, all’aumentare del traffico.

La spesa media per abbonato per i servizi di streaming video di circa 25 dollari al mese, suddivisi fra i Netflix, YouTube, Amazon Prime, Disney+ e Microsoft, origina circa il 75% del totale traffico trasportato sulle quattro reti rurali, richiedendo un costo aggiuntivo di 11,65 dollari al mese in costi di capitale, attualmente assorbito totalmente dagli ISP.

Il risultato è quindi che, fra il 77 e il 94% dei costi totali di rete è legato allo streaming video di intrattenimento e ciò equivale ad una forchetta che va da 100 a 180 dollari di costi per abbonato ogni anno non recuperati dai fornitori di servizi a banda larga.

Considerando l’andamento crescente dello streaming video, la stima è che il costo del middle mile (non recuperato) raddoppierà nel giro di 3-4 anni e quindi (considerando che il numero di abbonati alla banda larga sarà pressappoco costante in queste quattro aree rurali) si attesterà a circa 25 dollari per abbonato al mese, ovvero circa 82 milioni di dollari in totale per i quattro ISP oggetto dell’analisi.

Per sintetizzare e concludere, la tesi sostenuta, che sarà sicuramente oggetto di approfondimenti da parte di tante istituzioni pubbliche e private, è che l’aumento del traffico di streaming nel middle e last mile,

– già richiede e sempre più richiederà attrezzature, apparati di caching -fra l’altro diversi ed esclusivi rispetto ai servizi proprietari delle piattaforme- manodopera, energia, costi operativi ed investimenti,

– incentiverà (e l’eventuale contribuzione agli investimenti da parte dei CAP servirebbe da forte stimolo) un sempre maggiore sforzo da parte delle Big Tech in investimenti per ricerca e sviluppo verso la compressione video e altre tecnologie che migliorano la qualità tecnologica dei dati e ne rendono più efficiente la distribuzione,

– renderà necessari strumenti legislativi per aumentare il numero dei potenziali contributori per il pieno sviluppo della banda larga,

– imporrà un aggiornamento delle modalità attraverso cui tali contributi dovranno essere erogati, ampliandoli in modo equo ed incentivando la responsabilità sociale di tutti i player, e soprattutto non danneggiando ed appesantendo le finanze delle famiglie americane che sono le uniche ad oggi a sostenere i costi del servizio universale.

Garantire la veloce realizzazione di reti a banda larga di prossima generazione dovrà necessariamente essere una responsabilità condivisa.


[1] https://strandconsult.dk/lawmakers-in-the-us-and-the-south-korea-investigate-big-techs-usage-of-broadband-networks-to-ensure-fair-cost-recovery/

[2]https://www.postpolicy.it/rosso-o-blu-il-colore-di-internet-e-della-chiusura-del-digital-divide-negli-usa/

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