Sostegno all’innovazione, condizioni abilitanti e proposte per rafforzare il sistema Paese.

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Nell’articolo di Renato Loiero “Economia dell’innovazione, crescita e sviluppo del paese e delle imprese”, apparso su POST il 6 giugno scorso, si trovano numerosi dati sulla capacità di innovazione del nostro tessuto imprenditoriale, che analizzati con acume hanno portato l’autore a trarre la conclusione “che il percorso verso la modernità tecnologica e digitale dell’economia italiana e delle sue imprese è ancora lungo e tortuoso in particolare per le imprese di più piccole dimensione e per il Sud”.

Ripartendo da quelli stessi spunti di riflessione, per rispondere alla domanda su quanto possa dirsi innovativo il sistema Italia nel contesto europeo, possiamo prendere in esame l’European Innovation Scoreboard, ovvero il report pubblicato annualmente dalla Commissione europea che fornisce una valutazione comparativa delle prestazioni in materia di ricerca e innovazione degli Stati membri dell’UE.

Di Gianpiero Ruggiero – Analista politiche per la ricerca e l’innovazione, CNR

Quanto è innovativo il sistema Italia?

Secondo l’ultimo rapporto pubblicato, nel 2023 l’Italia rientra tra i Paesi considerati “Innovatori moderati”. Negli ultimi anni però si registra un elemento positivo: le prestazioni italiane sono superiori alla media del gruppo di appartenenza e stanno crescendo a un ritmo superiore rispetto a quello del resto dell’UE. Insomma, stiamo recuperando terreno nonostante tutto.

Il Rapporto evidenzia anche quelle che sono le nostre debolezze relative: limitata popolazione con istruzione terziaria (altro fattore sul quale interviene il PNRR); pochi investimenti in ricerca e sviluppo, sia da parte delle imprese (livello di spesa pari allo 0,9% del PIL), sia da parte dello Stato (spesa solo dello 0,5% del PIL); bassi investimenti in capitali di rischio e problemi di accesso al credito per le PMI innovative.

La Commissione europea, da qualche anno, effettua una valutazione comparativa delle prestazioni dei sistemi di ricerca e innovazione anche a livello regionale. Secondo i dati del Regional Innovation Scoreboard 2023 https://ec.europa.eu/assets/rtd/ris/2023/ec_rtd_ris-regional-profiles-italy.pdf, che ha esaminato un campione di 239 regioni in 22 Stati membri dell’UE, nel nostro paese abbiamo tre regioni con livello di “Forte innovatore” (Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Provincia autonoma di Trento), 16 regioni classificate “Innovatori moderati” e due regioni “Innovatori emergenti”. La performance è aumentata per tutte le regioni, in particolare per le Marche e l’Abruzzo. Per 20 regioni le prestazioni sono aumentate a un tasso superiore a quello dell’UE (8,5), solo per la Valle d’Aosta l’aumento delle prestazioni è stato inferiore a quello europeo.

Questi dati confermano quanto possa essere tortuoso e impegnativo il percorso di avvicinamento agli standard dei Paesi europei più innovativi (Danimarca, Svezia, Finlandia, Olanda, Belgio) e quanto la parola innovazione non possa rimanere confinata nei manuali (di Frascati o di Oslo). Scalare le classifiche europee dell’innovazione significa vivere e attuare concretamente l’innovazione.

Chi meglio delle imprese e delle startup innovative può cogliere questo compito.

Il sistema delle PMI e Startup innovative

In Italia ci sono circa 760.000 PMI attive iscritte nel registro delle imprese. Di queste, circa 16.400 sono Startup e PMI innovative iscritte nel registro speciale (13.400 le startup e circa 3.000 le PMI). Queste realtà – che rappresentano solo il 2,1% di tutte le PMI – generano un fatturato complessivo annuo di circa 10,3 miliardi di euro.

Rispetto al 2022 il numero complessivo è in contrazione del 3,5%. La contrazione è attribuibile principalmente a una diminuzione delle startup registrate sul territorio italiano (-840 unità nel 2023), nonostante le PMI innovative abbiano registrato una crescita di circa 241 unità. In Lombardia, dove sono attive il 27,6% delle startup e PMI innovative italiane, si registra una diminuzione meno marcata (-2,5%) rispetto a quella nazionale.

Questa diminuzione non è da sottovalutare perché, è bene ricordarlo, startup e PMI innovative sono un patrimonio prezioso per l’economia italiana, dato che dispongono, per loro natura, di una forte capacità innovativa e di una marcata propensione all’uso della tecnologia.

A fronte di quest’analisi, è possibile delineare qualche indicazione di policy e fornire delle proposte operative che possano aiutare il nostro Paese a risalire la china della classifica e dei livelli innovativi.

Per restare competitivi nel dinamico ambiente imprenditoriale odierno è essenziale, oltre a cogliere appieno le opportunità derivanti dagli incentivi finanziari, conoscere e sfruttare le iniziative pubbliche che favoriscono l’innovazione. Il legislatore italiano ha creato strumenti specifici per aiutare le Aziende Innovative a crescere quali, ad esempio, la legislazione e le agevolazioni anche fiscali per le Startup e le PMI Innovative. Questi aiuti esistono da più di dieci anni, ma molti imprenditori non li conoscono bene o non li usano quanto dovrebbero, perdendo così opportunità importanti per sviluppare le loro imprese. 

A quando un nuovo Startup Act 2.0?

Per questo occorre interrogarsi – anche in vista dello Startup Act 2.0 – se non sia il caso di definire nuove norme a sostegno delle micro, piccole e media imprese che possa fare da volano all’accelerazione sulla nuova versione dello Startup Act.

La legge annuale per le PMI (Legge n. 180 dell’11/11/2011) è datata – ha più di 12 anni e finora non è mai stata attuata. Prevedeva diversi principi e finalità per lo sviluppo e tutela delle PMI, tra le quali quella che ogni anno l’ex MiSE (oggi Mimit) sviluppasse una normativa proprio sulle micro e piccole e medie imprese.

Sembrano maturi i tempi per interventi sull’accesso al credito, sulle nuove competenze per i titolari di impresa, sulle semplificazioni e sulla revisione delle regole di ingresso e permanenza nell’apposita sezione del registro delle imprese.

Per alcuni analisti, infatti, i meccanismi incentivanti, subordinati al possesso, da parte delle imprese, di alcuni specifici elementi di innovatività, hanno certamente consentito di diffondere nel sistema economico buone pratiche, quali gli investimenti in ricerca e sviluppo, l’assunzione di personale qualificato da titoli di studio, il possesso di brevetti. Al tempo stesso molte aziende del registro delle startup innovative non rispondono pienamente alla definizione di Steve Blank “organizzazioni temporanee, che hanno lo scopo di cercare un business model scalabile e ripetibile”.

Tuttavia, gran parte delle migliori startup italiane (oggi scaleup) sono passate dal registro dimostrando che, comunque, quest’ultimo è in grado di intercettare anche le vere e proprie startup. Ciò non toglie che andrebbe fatta un’analisi sull’utilità stessa del registro, che forse avrebbe bisogno di un “tagliando” normativo al fine di armonizzare e attualizzare definizioni e requisiti di startup e PMI innovative.

Semplificazioni per la certificazione dei crediti di imposta per R&S

Il Ministero delle imprese e del Made in Italy ha pubblicato il decreto del 5 giugno 2024 che approva i modelli di certificazione per la corretta applicazione del credito di imposta ricerca e sviluppo, innovazione tecnologica, design e ideazione estetica.

La pubblicazione dei modelli arriva a distanza di poche settimane dall’operatività del sito dell’Albo dei certificatori, che il MIMIT aggiornerà periodicamente, sia della Piattaforma informatica dove le imprese potranno selezionale il certificatore che accerterà la congruità degli investimenti dell’azienda con quelli ammessi all’incentivo.

Si auspica che il nuovo sistema di certificazione preventiva possa agevolare l’accesso ai tax credit ricerca e sviluppo e semplificare il rapporto con l’Agenzia delle Entrate, liberando molte imprese da incombenze molto pesanti in sede di accertamenti e di contestazioni delle condizioni di ammissibilità dei crediti d’imposta.

Coordinare meglio politica della ricerca e dell’innovazione

Una prima proposta riguarda l’integrazione tra le politiche. Il punto in comune nel nostro paese tra chi governa la politica della ricerca (Ministero dell’Università e della Ricerca) e chi programma la politica industriale (Ministero delle Imprese e del Made in Italy) è rappresentato dalla Strategia Nazionale di Specializzazione Intelligente.

Il coordinamento tra le due politiche diventa cruciale. Alcune condizioni di contesto potrebbero essere migliorate.

Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ha annunciato che dal prossimo 10 luglio – con possibilità di precompilare le domande già dal 25 giugno – ci sarà l’apertura del bando riguardante i progetti di ricerca e sviluppo sperimentale delle imprese localizzate nelle regioni Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, coerenti con la “Strategia Nazionale di Specializzazione Intelligente”.

Si tratta di un bando per progetti che potranno essere realizzati anche in forma congiunta tra più imprese; dovranno prevedere attività di ricerca industriale e sviluppo sperimentale che facciano utilizzo di tecnologie abilitanti fondamentali, in particolare: nanotecnologia e materiali avanzati, fotonica e micro/nano elettronica, sistemi avanzati di produzione, tecnologie delle scienze della vita, intelligenza artificiale, connessione e sicurezza digitale.

Sono le stesse aree tematiche che si stanno sviluppando anche nell’ambito delle iniziative attuate dal Ministero dell’Università e della Ricerca. Per questo diventa importante un maggiore coordinamento a livello centrale per rendere complementari le misure attuative delle politiche per la ricerca e l’innovazione.

Un maggiore coordinamento nazionale darebbe più forza al Governo anche in sede europea, per esempio quando si riunisce il Consiglio Competitività (spazio, ricerca e innovazione), dove sarebbe bello vedere rappresentato il Governo ai massimi livelli da una figura professionale competente come il Responsabile scientifico che sappia ben maneggiare la diplomazia scientifica.

Il PNRR: il ponte tra ricerca e imprese innovative

Colmando il divario tra due mondi apparentemente vicini ma nella realtà dei fatti così distanti, la ricerca accademica e il mondo delle imprese produttive, il PNRR pone al centro delle sue missioni proprio questa sfida.

La Missione 4 – componente 2, denominata proprio “Dalla ricerca all’impresa”, è concepita per sostenere il trasferimento delle conoscenze dalle università alle aziende, coprendo l’intera scala di maturità tecnologica (Technology Readiness Level), dai livelli più bassi a quelli più avanzati, specialmente dove la tecnologia è pronta per il mercato.

I risultati finora ottenuti sono incoraggianti e lasciano ben sperare che gli effetti del PNRR non si esauriranno nel 2026, quando il piano andrà a chiudersi. Un investimento di 4,6 miliardi assegnati con procedure competitive che hanno visto nascere 5 Centri Nazionali per la ricerca in filiera, 11 Ecosistemi dell’innovazione e 14 Partenariati estesi sul territorio nazionale. Una galassia di circa 480 stakeholder, tra università, centri di ricerca e aziende, che hanno dato vita a nuovi soggetti giuridici per far avanzare le conoscenze su tematiche forti e di frontiera. Più di 252 bandi a cascata, per un totale di risorse impegnate pari a oltre 555 milioni di euro (bandi avviati e conclusi, ma sempre con nuove opportunità di inclusione di altre aziende, di qualsiasi dimensione).

Iniziative di ricerca, pensate e condotte insieme alle aziende. Ricercatori pubblici che, pur restando affiliati alle loro istituzioni, si dedicano a problemi scientifici decisi di concerto con le imprese. Si tratta di una soluzione organizzativa che scardina l’abituale incomunicabilità tra la ricerca pubblica e le aziende, puntando al gioco di squadra e ad iniziative sistemiche che aggregano e integrano soggetti pubblici e privati, impegnati nella ricerca.

Dalla fase di avvio alla fase di implementazione delle misure del PNRR

I numeri fatti registrare dalle citate iniziative del PNRR ci danno il senso di quanto il Piano sia già riuscito a mettere insieme ricerca pubblica, accademia e imprenditoria innovativa, e quanto sia prezioso il capitale «relazioni» che gli attori economici, culturali e sociali, sono stati capaci di creare.

Una volta conclusa, però, la fase di finanziamento iniziale, adesso si apre la fase di gestione delle risorse e delle nuove regole di governance. Una gestione che tenga conto non solo della contabilità, ma soprattutto del valore creato nel Paese (azioni inclusive e accesso delle imprese micro e piccole, cooperazione generativa e coesiva, integrazione di ambiti, legami con i territori e la società civile, contaminazioni di competenze, ecc.).

È fondamentale che il processo di conduzione dei singoli partenariati istituzionalizzati e co-programmati sia improntato alla massima trasparenza e accessibilità e non limiti l’inclusione di attori “esterni al gioco”. Occorrerebbe pertanto garantire che le associazioni costitutive dei partenariati pubblico-privato assicurino piena trasparenza nella modalità di accesso e di contribuzione di tutti i soggetti aderenti, con evidenza del “tasso di apertura” di ciascun partenariato attraverso l’analisi dei dati di partecipazione e successo ai bandi a cascata, anche per le realtà esterne ai partenariati.

Aumentare la capacità di fare “rete”

Aprirsi all’innovazione lavorando, seguendo i paradigmi dell’open innovation, è un concetto che racchiude molti significati e molti possono essere i modi in cui un’impresa si relaziona con altri soggetti.

Da un lato ci sono le reti nazionali, come gli ecosistemi citati del PNRR in cui operano tanti attori, come i distretti, i poli tecnologici, gli innovation hub, che si pongono come consulenti per le imprese che intendono intraprendere percorsi di innovazione attraverso contratti di rete. Disciplinato dal DL 5/2009, il contratto di rete è l’accordo con il quale più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato. Dalla data della sua creazione ad oggi sono 9.172 i contratti di rete attivi che coinvolgono 48.560 imprese.

C’è poi il livello internazionale dell’innovazione. In estrema sintesi possiamo definire l’internazionalizzazione il processo attraverso il quale le imprese si aprono a nuovi mercati esteri, instaurando rapporti con altre Aziende, consumatori e istituzioni operanti al di fuori dei confini Nazionali allo scopo di vendere, produrre, acquistare materie prime, o trovare nuove fonti di finanziamento.

Potrebbe essere l’accrescimento del patrimonio relazionale internazionale la carta vincente per l’innovazione di domani. Si tratta di un asset non scontato ma che, attraverso lo scambio e la collaborazione, può risultare come il migliore propellente per dare concretezza alla ricerca e all’innovazione e alimentare il motore della crescita.

D’altronde già adesso si intravedono le traiettorie europee dell’innovazione incrementale.  Si chiamano “Valli regionali dell’Innovazione” e diventeranno nel futuro prossimo dell’Unione Europea gli hub sul territorio comunitario per l’innovazione deep-tech.

Al momento sono in fase di ultimazione. La nuova Agenda europea per l’innovazione, adottata nel luglio dello scorso anno dall’esecutivo comunitario per “posizionare l’Europa in prima linea nella nuova ondata di innovazione tecnologica e di startup”, prevede una prima tranche di 170 milioni di euro con l’obiettivo di individuare fino a 100 Regioni impegnate a migliorare il coordinamento di investimenti e politiche d’innovazione con progetti interregionali.

La volontà di costruire catene di valore e reti europee è evidente anche in altri programmi europei. Il programma Horizon Europe per la prima volta prevede una linea di finanziamento dedicata agli Ecosistemi europei dell’innovazione. All’interno del Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale lo Strumento di Investimento Interregionale per l’Innovazione (I3), di cui un bando è in uscita in questi giorni, caratterizzato da una forte spinta a fare rete tra imprese e regioni.

Tutti interventi che sostengono lo sviluppo di catene del valore europeo facendo perno sulla complementarità delle Strategia di Specializzazioni intelligenti dei diversi paesi UE.

Conclusioni

Il connubio tra ricerca e innovazione è sempre più integrato. La capacità innovativa del nostro Paese potrà aumentare solo se gli attori regionali dell’innovazione sapranno rafforzarsi, riuscendo a restare agganciati a una dimensione europea per intercettarne le risorse. È impensabile per l’Italia possa affrontare in solitaria le nuove sfide tecnologiche e sociali (considerato anche il livello di debito del nostro Paese). Il PNRR sta aiutando l’ecosistema nazionale a rafforzarsi, posizionandolo su un sentiero di crescita più elevata. Tra qualche anno dovremo affrontare il tema del post-PNRR.

La programmazione della Politica di coesione e dei Fondi europei 2028-2034 sarà decisa dal nuovo Parlamento e dalla prossima Commissione. Farebbe bene il Governo a presidiare da subito i punti decisionali dove si progettano le strategie per l’innovazione e si programmano le traiettorie di sviluppo.

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