La Valutazione della Performance fra New Public Leadership e Public Service Motivation.
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La pubblica amministrazione immaginata dal neo premier Draghi punta a rafforzare la qualità dell’azione amministrativa, a partire dalle competenze delle persone.

Per il premier: «È un diritto innegabile dei cittadini e le imprese di ricevere servizi puntuali, efficienti e di qualità.». Il Rapporto annuale FPA del 2020 evidenzia un decremento di 212 mila unità tra il 2008 e il 2018. Nei prossimi 3-4 anni andranno in pensione circa 300 mila dipendenti: una vera e propria emorragia di personale.

Si dovrà conseguentemente investire sia nel reclutamento di capitale umano di qualità, competente e motivato, sia sulla valorizzazione delle risorse umane disponibili.

Una valutazione delle performance mirante allo sviluppo individuale, oltre che dell’organizzazione, nonché un sistema virtuoso di Public Service Motivation (PSM), emergono come un’alternativa alle teorie della scelta razionale che suggeriscono che il comportamento delle persone si basi esclusivamente sul loro interesse personale.

Le capacità di leadership diventano fondamentali per migliorare le prestazioni dei dipendenti e delle organizzazioni del settore pubblico. Ai manager pubblici verranno richieste capabilities (capacità e abilità) dinamiche per una nuova Public Leadership.

Di Serena Fiona Taurino

1. La valutazione della performance nel settore pubblico.

Le riforme operate fin qui nella Pubblica Amministrazione (P.A.) hanno cercato di affermare il modello “aziendalistico” rispetto a quello antitetico, cosiddetto “burocratico”, tentando di tradurre i principi costituzionali di imparzialità e di buon andamento nei moderni concetti di trasparenza e qualità dei servizi. In un’ottica di revisione degli strumenti di gestione delle Risorse Umane nella P.A., occorre forse “ricominciare partendo dalla fine”, e cioè dall’utente finale di quei servizi che la P.A., per mandato, deve erogare in modo imparziale, assicurandone il buon andamento: il cittadino.

Non a caso studi più recenti di Public Management, nell’ambito della gestione delle Risorse Umane, puntano verso l’attuazione, attraverso diverse fasi, di una gestione outside-in, una gestione cioè, in cui il risultato sia calibrato «sull’ambiente esterno in termini di soddisfazione non solo dei dipendenti ma anche dei cittadini e degli utenti».

E poiché, come sostiene Kaplan, «non si può gestire ciò che non si può misurare», è fondamentale dotarsi di strumenti di valutazione, a partire dalla performance e dall’engagement dei dipendenti.

Il tema diventa qui scivoloso perché, in effetti, interventi per introdurre strumenti di valutazione della performance sono già stati effettuati in passato. Basti pensare a tutta una serie di riforme che, dagli anni 90 alla cosiddetta “Riforma Brunetta”, sono intervenute per ridurre l’autoreferenzialità del pubblico impiego, e migliorarne la qualità dell’azione pubblica, con l’utilizzo di meccanismi di responsabilizzazione sui risultati.

Tuttavia la natura immateriale dell’azione del pubblico dipendente ne rende difficile la misurazione, restituendo risultati dubbi sull’efficacia, ad esempio, del mero incentivo monetario.

2. La digitalizzazione e la semplificazione nella valutazione della performance della P.A.

Il tema della disponibilità delle informazioni e della possibilità di processarle per una efficace valutazione della performance è strettamente connesso a quello della digitalizzazione della P.A.

Nella legge di bilancio 2020 e nel decreto-legge n. 162 del 201 sono state previste diverse misure volte a promuovere e valorizzare l’informatizzazione della pubblica amministrazione. L’opera di diffusione dell’amministrazione digitale è proseguita con il decreto legge n. 76/2020 recante misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale.

Del resto, si è dovuti necessariamente passare attraverso la cruna dell’ago delle Raccomandazioni, che il Consiglio europeo formulava già nel 2019: la necessità di «migliorare l’efficienza della pubblica amministrazione, in particolare investendo nelle competenze dei dipendenti pubblici, accelerando la digitalizzazione e aumentando l’efficienza e la qualità dei servizi pubblici locali». Non a caso, l’art. 31 del decreto-legge semplificazioni (D.L. 76/2020) dà luce, da un lato, alla valutazione della performance, legandola, dall’altro, alle misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale.

Ora, qual è il reale stato del performance management nella PA italiana?

Dai documenti disponibili sul Portale della Performance si ha un’istantanea delle problematiche comuni alle amministrazioni pubbliche, che se affrontate con determinata concretezza, potrebbero portare verso una Pubblica Amministrazione moderna, efficiente, sburocratizzata, digitalizzata e al servizio del cittadino.

Una prima criticità si rileva nella onerosità degli adempimenti in materia di performance, nonché nell’esigenza di semplificare i linguaggi tecnici e gli strumenti operativi. Per risolvere, si dovrebbe dare concreta attuazione a regimi semplificati e diversificati per la gestione del ciclo della performance, anche attraverso l’introduzione di format digitali.

Un secondo profilo, concerne la disomogeneità nella rappresentazione e, di conseguenza, la scarsa confrontabilità fra le performance delle singole amministrazioni. Una soluzione potrebbe essere la condivisione di indicatori comuni. Si pone infine, il tema della scarsa accountability orientata al cittadino e la conseguente mancanza di valorizzazione dell’efficacia percepita.

Qui il tema diventa di puro studio, da un lato (i.e. raccolta di best practice ed elaborazione di linee guida), dall’altro di capacità di avvio di progetti sperimentali ben disegnati e attuati.

3. Le risorse umane nella Pubblica Amministrazione: la valutazione come opportunità di crescita.

Questo lungo anno di emergenza ha ricondotto al centro del dibattito pubblico il tema della public performance, seppure con modalità schizofreniche oscillanti fra l’encomio per il valore prodotto e la presupposta necessità di controllare le modalità di lavoro, con le quali amministrazioni producono tale valore. Stando agli obiettivi declinati dal premier Draghi nel suo discorso alla Corte dei Conti, la sfida principale consiste nella costruzione di un efficace sistema di misurazione e valutazione della performance individuale (SMVPI) per i processi di gestione del personale.

E quali sono le caratteristiche di un efficace SMVPI?

Come declinare nella pratica tale efficacia per creare sistemi che siano percepiti come equi e motivanti?

Una recente ricerca commissionata e finanziata dal Dipartimento della Funzione Pubblica, e realizzata dalla SDA Bocconi, ha provato a descrivere lo stato dell’arte dei SMVPI delle pubbliche amministrazioni, cercando di cogliere le motivazioni dell’engagement dei dipendenti pubblici. Il campione di analisi è composto da 60 amministrazioni sul territorio nazionale.

Un primo risultato evidenzia uno scollamento fra la parte formale dei SMVPI, orientata allo sviluppo del personale, e quella concreta, nei fatti mirante alla mera erogazione di premi e incentivi monetari, come ben semplifica la Figura 1.

Figura 1- Le principali finalità attribuite alla misurazione della performance da parte dei manager pubblici italiani.
Fonte: Atti dell’Incontro plenario con le amministrazioni e gli OIV – intervento di sintesi del progetto “Valutare per crescere: la valutazione della performance individuale nelle AA.PP.”

La Figura 2 ci fornisce dati interessanti relativamente alla percezione che i dipendenti hanno in merito alla trasparenza percepita dei SMVPI:

– solo il 25,54% ha chiara la finalità della misurazione;

–  appena il 23,4% comprende l’oggetto del sistema di misurazione in uso nella propria amministrazione;

– il 44,7% non ha chiare le implicazioni dei processi di misurazione e valutazione adottati.

Figure 1 – Chiarezza dei sistemi di misurazione e valutazione della performance
Fonte: Atti dell’Incontro plenario con le amministrazioni e gli OIV – intervento di sintesi del progetto “Valutare per crescere: la valutazione della performance individuale nelle AA.PP.”

L’analisi quantitativa del legame tra caratteristiche strutturali dei sistemi e percezioni dei dipendenti ha, inoltre, analizzato la correlazione tra la percezione dei dipendenti e il loro livello di engagement.

Il risultato, per quanto intuitivo, fa corrispondere un più elevato livello di engagement dei dipendenti a un più equo rapporto valutato-valutatore e a una maggiore percezione che il sistema di valutazione sia orientato verso uno sviluppo complessivo dell’organizzazione e delle sue risorse umane.

L’analisi statistica fa, inoltre, emergere un risultato apprezzabile, per quanto più modesto, dalla variabile relativa alla trasparenza del sistema, nonché nella distribuzione dei diversi strumenti di rewarding (erogazione della premialità, attribuzione di incarichi e di progressioni economiche).

Dallo studio, paiono essere chiavi di volta sistemi di valutazione orientati alla crescita e allo sviluppo individuale. Sarà sempre più imprescindibile, cioè, offrire occasioni di crescita e sviluppo delle competenze del singolo dipendente.

Di conseguenza, si dovrà, anche, investire su chi fa da tramite fra singolo dipendente e l’organizzazione: il dirigente. Il nuovo modello di manager pubblico dovrà avere la consapevolezza del proprio compito e delle proprie specificità e saper guardare alla complessità e ai vincoli imposti dal contesto in cui opera.

Detto altrimenti, si dovrà ripensare non solo il “come” si valuta, ma soprattutto il “perché” si valuta e, infine, la comunicazione efficace di questo “perché”. 

4. Public Leadership and Public Service Motivation.

Quale strategia adottare quindi in un’ottica di revisione degli strumenti finalizzati alla costruzione di un sistema di gestione manageriale delle risorse umane nella P.A.?

Potremmo definire tale nuovo approccio: “The three ‘M’ approach”. Mapping, measuring, managing: identificare le priorità strategiche e le competenze necessarie per raggiungerle, rilevare le attività svolte, attivare le leve di gestione delle risorse umane. Se gli incentivi economici non sono la chiave di tutto, allora forse, come ci suggerisce una letteratura consolidata, la motivazione potrebbe fare qualcosa in più della retribuzione. Del resto, l’orientamento al servizio e la motivazione delle persone sono direttamente correlati alle loro performance. La gestione di questi aspetti è, tuttavia, multidimensionale perché se è vero che alcuni individui sono naturalmente predisposti a una motivazione intrinseca, il contesto può fare molto per promuovere o deprimere la motivazione individuale.

Sul piano pratico, dopo decenni di vincoli alle politiche per la gestione delle risorse umane a causa delle misure di contenimento della spesa, un primo spiraglio di novità si è intravisto con la Legge di conversione n. 157/2019 del Decreto fiscale D.L. 124/2019, che ha eliminato il vincolo di spesa (che permaneva dal 2009) per la formazione dei dipendenti pubblici. 

Fermo restando il vincolo legato a congiunture macro non gestibili a livello di singola amministrazione, restano margini di azione sufficientemente ampi a livello di contrattazione collettiva e decentrata.

E del resto, già il decreto legislativo n. 74 del 2017 aveva introdotto importanti modifiche al d.l. 150/2009, in termini di misurazione e valutazione delle performance, nonché degli strumenti di valorizzazione del merito, introducendo, fra l’altro un nuovo sistema di distribuzione delle risorse.

È il CCNL che definisce la quota delle risorse destinate a remunerare la performance (organizzativa e individuale) e fissa i criteri idonei a garantire che alla significativa diversificazione dei giudizi corrisponda una effettiva ponderazione dei trattamenti economici correlati. Per i dirigenti il criterio di attribuzione dei premi è applicato con riferimento alla retribuzione di risultato.

Ed è qui che si individua un nesso fra la parte motivazionale e quella più pragmatica, gestionale e contrattuale, utile per una possibile revisione degli strumenti gestionali delle R.U., e della dirigenza in particolare, nella P.A.

Da un punto di vista motivazionale, è fondamentale la value proposition dell’ente. Se si parla di valore si parla necessariamente di futuro: si crea prospettiva, senso di appartenenza, si definisce il fabbisogno di competenze (hard e soft) sia nel presente in base alla coerenza fra queste ultime e il servizio da erogare, ma anche in futuro, pensando alla direzione strategica che l’ente vuol intraprendere.

Si apre qui una ipotesi di revisione delle finalità dei sistemi di valutazione. Innanzitutto, è necessario ridefinire il confine, attualmente labile e confuso, tra performance organizzativa e performance individuale, legando quest’ultima ai risultati raggiunti dal singolo, alle competenze e ai comportamenti dimostrati nel proprio lavoro.

Un approccio innovativo potrebbe consistere nella costruzione di un sistema di valutazione della performance individuale, orientato alla crescita dei dipendenti, attraverso l’identificazione di ambiti di miglioramento e la definizione di piani di sviluppo che mirino a colmare i gap di competenza.

In questa prospettiva, la valutazione potrà giudicare il raggiungimento di obiettivi realmente sfidanti, slegando la valutazione delle competenze dal mero obiettivo di erogare un premio monetario e creando un sistema in grado di differenziare i giudizi al fine di stimolare la crescita dei dipendenti.

Un sistema utile potrebbe essere quello di posizionare i singoli in una matrice costruita sulla base di due rilevanti dimensioni R.U. – la performance individuale e l’engagement – allo scopo di costruire piani di sviluppo individuale basati, su quattro profili generali a seconda della grandezza delle due dimensioni.

Laddove entrambe le dimensioni siano forti, si potrà investire sulle capacità di leadership. Nei livelli intermedi occorrerà stimolare la performance individuale e il senso di appartenenza, investendo sulla formazione e sull’aggiornamento.

Nel livello più basso, sarà necessario valutare l’allineamento tra le aspirazioni e il lavoro svolto e attivare percorsi di riposizionamento, recuperando le potenzialità degli individui prima che danneggino l’intera organizzazione.

A questo punto, la capacità di leadership diverrebbe davvero significativa per l’incremento della performance tanto dei singoli quanto delle organizzazioni.

Uno stile di leadership “integrato” si misurerebbe dalla capacità di mantenere alto il coinvolgimento motivazionale dei propri collaboratori, attraverso la trasparenza delle politiche valutative, volte a incentivare lo sviluppo professionale e il senso di auto-realizzazione del singolo all’interno della organizzazione.

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