Come uscire dalla crisi economica post COVID-19 Un contributo alla riflessione
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L’inizio dell’anno nuovo costituisce un momento opportuno per riflettere sul ruolo che la teoria economica (notoriamente una scienza non esatta) può dare nel fornire indicazioni e “ricette” di politica economica in una attualità economica in profonda crisi (in Italia circa -9% del Pil nel 2020) e alle prese con la realizzazione del Recovery Plan necessario per ottenere i circa 209 miliardi di euro che il New Generation UE ha assegnato all’Italia.

Di Giuseppe Capuano, economista, già dirigente del Ministero dello Sviluppo Economico

L’inizio dell’anno nuovo costituisce un momento opportuno per riflettere sul ruolo che la teoria economica (notoriamente una scienza non esatta) può dare nel fornire indicazioni e “ricette” di politica economica in una attualità economica in profonda crisi (in Italia circa -9% del Pil nel 2020) e alle prese con la realizzazione del Recovery Plan necessario per ottenere i circa 209 miliardi di euro che il New Generation UE ha assegnato all’Italia.

Una incisiva e rapida azione di policy necessaria per superare una crisi economica tra le più gravi che, non solo l’Italia, ma l’intero sistema economico mondiale ha dovuto affrontare dalla Rivoluzione industriale ad oggi.

Una crisi, secondo autorevoli analisi supportate dalle principali teorie del ciclo economico, dovuta a uno “shock esogeno” (il tristemente famoso “cigno nero”, la pandemia COVID-19) che, pur essendo molto profonda, rapidamente emergerà in superficie grazie agli “anticorpi” presenti nel “sano” tessuto produttivo italiano.

Questa riflessione è stata ampiamente approfondita insieme ad alcune indicazioni di politica industriale nel recente libro “COVIDNOMICS” scritto per la “edizioni LED” dove si riprendono alcune idee, spunti e riflessioni da me elaborate negli ultimi anni e che si riprendono brevemente in questo articolo.

Esso fornisce un contributo al vivace dibattito sviluppatosi negli ultimi mesi in Italia in relazione a quali decisioni prendere in materia di politica economica al fine di indicare un nuovo percorso di sviluppo sostenibile nel post crisi COVID-19 e dare un futuro di speranza alle nuove generazioni.

Un percorso che non può prescindere da una Europa con l’euro che comunque deve rivedere la sua governance: un bilancio europeo comune, una politica fiscale unica, un Ministro delle finanze europeo e un cambiamento dello Statuto della BCE che contempli anche lo sviluppo tra gli obiettivi di policy oltre al controllo dell’inflazione.

Riforme necessarie e propedeutiche ad una lenta ma costante eliminazione dei parametri di Maastricht.

Una Europa più vicina ai cittadini, alle micro e piccole imprese (innovative e in rete) e ai territori, che dia maggiore impulso alla riduzione degli squilibri economici e sociali e all’introduzione di un nuovo modello di sviluppo fondato sul passaggio dall’economia lineare all’economia circolare.

Una strategia di politica economica che deve conseguire questi obiettivi nel medio-lungo periodo e deve necessariamente superare le contraddizioni della teoria del “rigore espansivo” e delle politiche fiscali restrittive sostenute in Europa nell’ultimo ventennio. A tal fine l’Ue dovrà avere in seria considerazione:

–  la necessità di superare la logica emergenziale di breve termine dettata dalla pandemia COVID-19 e favorire interventi focalizzati sulla infrastrutturazione del Paese (infrastrutture materiali e immateriali) finanziati con un ampio utilizzo del risparmio nazionale (circa 4.500 miliardi di euro) e dei fondi europei, in primis il Recovery Fund italiano dotato di circa 209 miliardi di euro oltre alle risorse messe in campo dai Fondi strutturali (circa 100 miliardi di euro);

–  l’importanza di gestire la grave situazione dei conti di finanza pubblica, fortemente condizionata dall’impatto negativo della crisi pandemica che porterà il  rapporto debito/Pil nel prossimo biennio ad un valore superiore al 160-170%, con l’introduzione di un serio e sostenibile piano di rientro decennale del debito pubblico che contempli, tra gli altri, il raddoppio della quota italiana della proprietà di titoli di debito oggi ampliamente in mano straniera e una seria e non ideologica riflessione sul corretto utilizzo dei circa 120miliardi di euro in oro detenuti “infruttiferamente” dalla Banca d’Italia.

Pensare, quindi, ad interventi di tipo strutturale che se da un lato dovranno contribuire a migliorare la dotazione dei fattori della produzione dall’altro, dovranno sostenere la crescita della produttività. Tra gli interventi di contesto indichiamo:

  • La semplificazione amministrativa;
  • La riduzione della pressione fiscale tra le più alte d’Europa, concausa dell’alta evasione fiscale;
  • Le facilitazioni all’accesso alla finanza (poco utilizzata) e credito per le imprese (il nostro è un sistema banco centrico) in particolare di piccole dimensioni, oggi fortemente penalizzate;
  • Il miglioramento della dotazione infrastrutturale “tradizionale” e digitale;
  • La riduzione del debito pubblico (siamo il terzo al mondo in termini di rapporto debito/Pil) nel medio-lungo periodo insostenibile;
  • L’innovazione e ricerca dove la spesa in questi settori è tra le più basse d’Europa;
  • La digitalizzazione della PA e delle imprese che scontano un forte gap nell’Ue.

Questi “deficit” si dovranno ridurre nel tempo perché costituiscono dei costi che gravano direttamente e/o indirettamente sulle imprese, minandone la competitività internazionale e rendono l’economia italiana molto fragile.

Si dovranno, inoltre, individuare misure che progressivamente (obiettivi micro di breve-medio termine), in un’ottica di crescita del sistema imprenditoriale, favoriscano il miglioramento delle condizioni strutturali sia interne che esterne alle imprese.

Inoltre, occorrerà ripensare alle modalità di “creazione di valore” attraverso value chain che utilizzino meglio e di più le “reti corte”(con piani di reshoring delle imprese italiane) per sostenere il posizionamento competitivo delle imprese sui mercati internazionali in tutte le loro funzioni organizzative (produzione, commercializzazione, finanza, etc.).

In questa strategia, tra gli altri, occorre sottolineare l’importanza di prevedere interventi “permanenti” di policy dedicati: alle MicroPMI e alle filiere produttive favorendo processi di aggregazione tra imprese utilizzando anche il contratto di rete;

al rilancio del Piano “Industria/Impresa 4.0”(le valutazioni d’impatto economico fin qui realizzate forniscono dati molto positivi in termini di crescita del Pil e del fatturato);

alla riorganizzazione della nostra economia da “economia lineare a economia circolare” (a tal fine si propone il “contratto di rete circolare” per favorire l’aggregazione di impresa nel loro passaggio a “modelli organizzativi circolari”);

alla “rifondazione” della metrologia scientifica e legale (materia sconosciuta in Italia e poco considerata a differenza di altri Paesi europei, in primis la Germania) come precondizioni di politica industriale per il rispetto della fede pubblica e delle regole del mercato a garanzia di imprese e consumatori.

L’insieme di questi e altri interventi di politica industriale (impatto micro), uniti a quelli di politica economica (impatto macro), dovranno contribuire a un big push in termini di innovazione non solo tecnologica e di competitività del nostro Paese necessariamente inseriti in un nuovo modello di sviluppo circolare che dovrà essere il fil rouge di ogni intervento di policy e di business imprenditoriale.

Infine, la politica economica dovrà contribuire nel nuovo decennio 2020- 2029, alla trasformazione dell’idea di Paese e di Europa del futuro, condizionando positivamente la nuova programmazione dei Fondi strutturali 2021-2027 (all’interno del budget dell’Unione) e favorendo il buon utilizzo del Recovery Fund (extra budget Ue).

In tal modo si potrà accompagnare l’Italia e l’Ue fuori dalla “recessione secolare” che ormai, nei fatti, affligge tutta l’economia del vecchio continente da oltre un ventennio e che la ha indebolita rispetto ai principali players mondiali.

In conclusione, la nostra lettura degli avvenimenti e delle soluzioni proposte ci potrebbe concedere un moderato ottimismo di fondo, ritenendo l’attuale crisi molto profonda ma temporanea, in quanto il “virus economico” si è introdotto in un “corpo” (il tessuto economico e sociale) sostanzialmente sano.

Ma ad una condizione imprescindibile: che gli interventi di politica economica e industriale finanziati da una enorme massa di capitale senza precedenti, siano spesi nei tempi stabiliti ed in forma efficiente/efficace. Questa la sfida non facile che l’Europa, e soprattutto l’Italia, dovrà affrontare nei prossimi anni.

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