Dalle blockchain al metaverso attraverso il Web3
Dalle blockchain al metaverso attraverso il Web3

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Qualche strumento per capire la decentralizzazione di dati e applicazioni in rete. Verso una democratizzazione della vita online? Quali gli impatti sulle “posizioni dominanti” del web?

Di Massimo Comito

A giudicare dalla quantità di notizie che circolano su tutti i media, può essere utile confrontarsi con il significato di alcune delle parole chiave che sono alla base della rivoluzione che fa capolino nel mondo digitale. Parlo solo di alcune di esse ma tutte necessarie per cercare di comprendere cosa potrebbe accadere in un futuro vicinissimo.

Blockchain, decentralizzazione, meccanismo di consenso, minatori e portafogli digitali

Le blockchain hanno introdotto un nuovo metodo di memorizzazione dei dati costruito intorno a due concetti fondamentali: crittografia e calcolo distribuito.

Con questo termine si intende tutto ciò che supporta una modalità di registrazione digitale distribuita di dati criptati di qualsiasi natura, includendo in questa definizione sia l’hardware e gli algoritmi software necessari, sia la relativa rete di collegamento (per esempio i dati delle transazioni finanziarie alla base delle criptovalute come il Bitcoin).

In estrema sintesi una blockchain è un insieme di server, attrezzati ciascuno con dei software che gestiscono database criptati, dove si effettuano registrazioni digitali di dati attraverso la rete internet che li collega.

I dati sono criptati nel senso che possono essere accessibili solo alla persona che ha il permesso di farlo -anche se memorizzati su un computer che appartiene a qualcun altro- e sono registrati in maniera decentralizzata su tutti i server della rete: non in un database centralizzato come quello di un unico sistema informatico di una banca che certifica le transazioni nel caso di dati finanziari, un bonifico, un investimento, ecc.

Nel caso delle criptovalute, i dati relativi alle transazioni finanziarie vengono registrati dalla blockchain in tutti i server disponibili con cadenza temporale (secondi o minuti), sono organizzati in base al tempo di registrazione/validazione e includono un riferimento al “blocco dati” precedente per prevenire, fra le altre utilità, la sua manomissione e la contraffazione magari in un blocco successivo.

Provo ad essere ancora più chiaro possibile: un file è condiviso su molti computer diffusi in rete e se una copia di esso non corrisponde a tutte le altre copie su tutti i computer, allora i dati in quel file non sono ritenuti validi. Inoltre, nessuno può accedervi o cambiarli senza il permesso di chi possiede le chiavi crittografiche e quindi che ha il controllo di questi dati. E se anche il computer del titolare dei dati viene spento e rimosso, questi dati, attraverso tali chiavi, sono ancora accessibili su uno delle centinaia di altri computer su cui sono memorizzati nella blockchain.

L’organizzazione sequenziale dei blocchi citata prima è il motivo per cui la tecnologia è chiamata blockchain o anche tecnologia a registro (libro mastro) distribuito o DLT -Distributed Ledger Technology.

Questo sistema di registrazione distribuita dei dati è il motivo per cui le architetture che ne fanno uso sono definite decentralizzate anche perché nella loro natura non prevedono alcuna autorità centrale che le governa (sono cioè permissionless) o alcun intermediario di fiducia che certifica le transazioni (sono cioè trustless) -una banca privata, una banca centrale, una istituzione certificatrice, uno Stato, una società privata- e sono basate su software open-source.

Tutti i partecipanti a una rete decentralizzata di computer hanno parità di accesso e lavorano per un obiettivo comune che è quello di far rispettare le regole della rete in totale sicurezza e correttezza delle transazioni che vi si effettuano. Lavorano non gratis ma in cambio di una ricompensa che li ristora per la grande o piccola capacità elaborativa (sia hardware che software) che mettono a disposizione e per il lavoro di registrazione e convalida della correttezza delle transazioni, blocco dopo blocco, che sono chiamati a gestire.

Per approfondire il concetto di sicurezza del dato registrato su una blockchain ed i concetti di meccanismo di consenso e di mining, poniamoci subito una domanda: come si fa a distinguere tra partecipanti onesti e partecipanti malintenzionati che operano in una rete decentralizzata?

Nel caso delle valute digitali criptate, un meccanismo di consenso, ovvero un algoritmo software tipico e unico per ogni criptovaluta, offre ad ogni operatore volontario della blockchain la possibilità di partecipare alla governance e alla convalida delle transazioni in cambio di una opportuna ricompensa, generalmente nella stessa criptovaluta, di un valore proporzionale al lavoro svolto e della potenza di calcolo messa a disposizione per le convalide.

Nel Bitcoin, per esempio, l’algoritmo software è il Proof of Work o POW che serve per sbloccare le transazioni fra due utenti e validare nuovi “blocchi dati” sulla blockchain: il cosiddetto sminamento o mining dei singoli blocchi della criptovaluta dove i volontari, che permettono questo sblocco e la conseguente registrazione sicura della transazione, sono chiamati minatori.

Il processo di sminamento -che è fortemente energivoro a causa dell’enorme potenza di calcolo che richiede la continua reiterazione delle transazioni per mantenere aggiornato il proprio registro– è economicamente molto gratificante per i miner e ciò riduce le possibilità di collusione tra attori malintenzionati: nel POW i validatori di transazioni competono anche tra loro per calcolare le soluzioni matematiche più efficienti. Il primo validatore o miner che presenta una soluzione valida riceve una ricompensa sotto forma di commissioni per la transazione.

Trattandosi di “denaro digitale”, che si sostanzia nel possesso di un gettone o token generato e protetto da crittografia, i registri di proprietà dei token, posseduti e trasferiti tramite un portafoglio digitale o digital wallet, sono distribuiti su internet e funzionano correttamente anche in assenza di governi e autorità centrali e soprattutto senza intermediari o hub di routing di terze parti. Inoltre, importante, tutte le operazioni sono pubbliche e la convalida delle transazioni o sminamento, così come gli aggiornamenti della rete, sono effettuati in modo trasparente per tutta la blockchain.

Per concludere questo primo argomento, al di là del funzionamento più o meno complesso dei diversi meccanismi di consenso -un altro è per esempio è il Proof of Stake o POS, un’alternativa più efficiente in termini energetici rispetto al POW- deve essere chiaro il concetto di decentralizzazione e cioè un combinato di distribuzione della proprietà dei server sulla rete e distribuzione del potere decisionale: in totale assenza di un’autorità centrale, le blockchain si basano sull’intera rete di miner -e dei loro relativi server- che validano le transazioni criptate attraverso il consenso con diversi algoritmi software che hanno, ciascuno, i loro pro e contro ma che sono tutti efficaci allo scopo.

Senza alcuna necessità di terze parti di cui fidarsi, le blockchain aiutano a creare una relazione diretta tra utenti e fornitori di servizi attraverso regole ed interazioni dirette tra loro, registrate sui libri mastri distribuiti e sicuri: riconfigurano le strutture e gli equilibri di potere nella proprietà dei dati.

Web3, il web distribuito

Quello che rappresenta o rappresenterà il Web3 non è ancora una certezza. Ne ha iniziato a parlare qualche tempo fa il co-fondatore di Ethereum -altra piattaforma decentralizzata la cui criptovaluta si chiama Ether– ma ha avuto recentemente un forte impulso sia con la proliferazione delle tecnologie blockchain usate per le criptovalute, sia con l’espansione dei mercati dei Non Fungible Token –Nft– soprattutto nel business dei luxury brands.

Gli Nft, ovvero gettoni non fungibili a differenza delle criptovalute, sono veri e propri certificati digitali che attestano la proprietà di un bene digitale -un disegno, un sms o tweet storico, un video di collezioni o di capi di moda virtuali unici, un quadro digitale- e la cui autenticità e unicità è garantita dalla sua registrazione su una blockchain.

Diciamo che il Web3 sarà per tutti noi un’internet aperta, trustless e permissionless dove potere interagire con gli altri in modo peer-to-peer senza rinunciare al controllo della proprietà intellettuale, alla privacy e senza affidarsi ad intermediari di qualsiasi natura.

Il Web3 è certamente un’evoluzione del World Wide Web di cui rappresenterebbe la terza generazione essendo la prima generazione rappresentata dal Web1, con le sue pagine statiche in sola lettura -dove la possibilità d’interazione tra chi gestisce il web e gli utenti che vi navigano è esterna al web e cioè limitata al telefono, al fax o alla posta elettronica- e la seconda il Web2 che ha introdotto uno spiccato livello d’interazione tra il sito web e l’utente e ha aggiunto la capacità di produrre ed interagire con diversi contenuti, rendendo possibili attività come i social media, gli acquisti online o i servizi digitali ai cittadini.

Dal punto di vista delle infrastrutture il Web2, che è quello che stiamo oggi utilizzando, è ospitato su server che sono di proprietà di aziende o enti che in genere ne centralizzano l’ubicazione. Il contenuto e l’architettura tecnico-economica sono controllati da regolamenti stabiliti dagli Stati, da enti regolatori e di governo e dalle corporation che lo gestiscono.

La centralizzazione, che può sollevare problemi di vulnerabilità e resilienza, insieme al “controllo” dei dati degli utenti da parte delle aziende che gestiscono i Web2, sono diventati forti driver della spinta verso la possibile adozione e diffusione del Web3 che è basato invece su un’architettura decentralizzata e su siti web realizzati con applicazioni decentralizzate o DApp -Decentralized Applications- e cioè applicazioni software eseguite su una rete blockchain di computer distribuiti.

In uno nuovo scenario Web3, tutte le attività che oggi svolgiamo sui siti, in maniera per noi trasparente, e i dati generati dalle nostre interazioni col sito sarebbero ospitati su una rete di computer che utilizzano le blockchain piuttosto che server centralizzati di un’unica proprietà privata, l’azienda o la grossa corporation di turno.

Al di là di una varietà di caratteristiche che potranno definire il Web3 del futuro -che è ancora in fase di ingegnerizzazione da parte di un numero sempre crescente di sviluppatori- alcuni principi sono e saranno tipici ed imprescindibili: l’accesso singolo anonimo (anonymous single-sign-on) che consentirà l’accesso a qualunque sito web con un unico nome utente (anonimo) e password, la proprietà individuale dei dati generati dagli utilizzatori o con termine tecnico la tokenizzazione (individual ownership and tokenization), l’auto governo attraverso la decentralizzazione (self-governing and decentralization) e cioè la distribuzione della proprietà e del potere decisionale.

Quanto all’accesso singolo anonimo, val la pena spiegare il perché dell’accesso anonimo: come già detto, tutte le transazioni sulla blockchain sono pubbliche e quindi tecnicamente tutti possono vedere i beni e/o i dati sensibili assegnati ad un portafoglio digitale specifico. Per questo motivo i portafogli sono anonimi e sono identificati solo da una stringa alfanumerica a chiave pubblica, non da un nome, a meno che il proprietario non scelga di procedere diversamente.

A mio avviso, uno degli aspetti più promettenti del Web3 è la “monetizzazione” di qualsiasi attività svolta e cioè la cosiddetta tokenizzazione. Come spiegato, tutte le attività svolte dai miner per contribuire alla blockchain sono ricompensate, quale incentivo per la distribuzione della proprietà, attraverso i token sia fungibili, come una criptovaluta, che non fungibili, come gli Nft. Concetto simile potrà essere esteso a qualsiasi opera dell’ingegno umano che sarà svolta sul web di terza generazione: per fare un esempio semplice, quando pubblicheremo un contenuto su un sito o un post su un qualsiasi social network verrà generato un Nft, che rappresenta quel contenuto o quel post e conservato come una vera valuta digitale in una determinata criptovaluta. Il token rappresenterà la proprietà del contenuto e potrà essere scambiato con altri attraverso i rispettivi portafogli digitali. Se il contenuto avrà successo, i benefici economici andranno al proprietario del token oltre che al sito su cui è ospitato. Questo, è comprensibile, aprirebbe tante opportunità per molti.

Infine l’importante principio del self-governing di cui la decentralizzazione e la tokenizzazione saranno un fondamentale presupposto. Come già accennato, potremmo presto assistere, oltre che alla distribuzione della proprietà, anche alla distribuzione del potere decisionale. Per spiegare meglio, abbiamo visto che le blockchain non necessitano di un’autorità centrale e utilizzano il meccanismo del consenso per la verifica e la validazione di ogni attività per funzionare. Ecco che allora sono all’orizzonte le cosiddette organizzazioni autonome decentralizzatedecentralized autonomous organizations, DAO- che possono essere utilizzate per “democratizzare” il processo decisionale in base alla qualità o al volume dell’investimento di un individuo, per esempio, in un social network realizzato con una DApp: in base alla quota di proprietà in token di una piattaforma, gli utenti possono votare le regole (gestite comunque con contratti intelligenti -smart contracts) che governano il social network, dalle regole di gestione delle fake news, o, nel caso di un negozio online, ai prezzi dei prodotti o alla ripartizione degli utili d’impresa. Saranno gli azionisti della DAO a votare sulla blockchain e ad auto-governarsi senza “aiuto” di intermediari, dai professionisti alle banche.Direi, una vera rivoluzione!    

Il Metaverso alimenterà il Web3

Ho già scritto a proposito del metaverso affrontando l’argomento da un altro punto di vista, spero altrettanto interessante, per evidenziare come è necessario prepararci per bene alle potenziali implicazioni che la “vita nei molteplici metaversi”, pensati e governati da terzi, potrebbero riservare a tutti noi.

Ai fini di questo articolo vorrei solo mettere in relazione con il Web3 anche il metaverso, con tutte le esperienze sensoriali che ci riserverà, e che da un punto di vista logico non è altro che un’altra interfaccia che l’utente avrà a disposizione per alimentare il Web3 attraverso le blockchain.

La “vita” nei diversi metaversi, quello che faremo in essi e come interagiremo con il mondo virtuale, con le cose, con i prodotti, con i manufatti virtuali, con le aziende e con gli altri avatar, non sono altro che (meta)dati che produrremo e che saranno immagazzinati nelle blockchain cui sarà basato il Web3. Per intenderci, nel metaverso non utilizzeremo solo la tastiera per produrre i dati ma piuttosto quello che è previsto da tutta la filiera tecnologica del metaverso e cioè l’hardware e il software per la realtà estesa che ci permetterà di interagire con il dominio digitale in modi più naturali e coinvolgenti: le mani virtuali per manipolare gli oggetti, la nostra voce per dare istruzioni alle macchine o per parlare con altri avatar.

Interoperabilità, sviluppo delle applicazioni e privacy

Il successo o meno del Web3 basato su architettura decentralizzata e la democratizzazione della rete che ne potrebbe derivare, sarà funzione di molteplici variabili, non ultima quella, non poco rilevante, che l’adozione del Web3 su larga scala potrebbe mettere in discussione le posizioni dominanti delle più grandi piattaforme gestite dalle cosiddette Big Tech. Le grandi corporation potrebbero subentrare con posizioni di tutto rispetto nell’ecosistema che ruoterà intorno al Web3 o, per dirla con le parole del creatore di Twitter, che ha già pesantemente messo in dubbio che il Web3 sarà libero e aperto come molti sperano: “Voi non possederete il Web3, ma lo faranno i fondi di Venture Capital con i loro Limited Partner. Non sfuggirà mai ai loro incentivi. In definitiva sarà un’entità centralizzata con un’etichetta diversa”.

Ma a parte questa visione, che dovrà essere tutta verificata sul campo, val la pena identificare alcuni dei principali punti da risolvere ancora come presupposto di una piena affermazione del Web3.

Mi limito, in questo articolo, solo ad elencare quelli che risultano essere a mio avviso i più importanti, di cui parlerò magari più dettagliatamente a chi volesse continuare a seguirmi.

Metterei prima di tutto la “scalabilità” necessaria a coinvolgere uno “zoccolo duro” di utenti che potranno utilizzare le blockchain sottostanti al web di terza generazione: nessuna blockchain da sola è oggi in grado di sostenere il miliardo di utenti sul Web3, secondo le previsioni al 2026 del COO di Harmony, società impegnata nella ricerca sull’Interoperabilità tra le blockchain e che già promette di poter collegare blockchain POW e POS senza alcun problema per i rispettivi utenti e i propri digital wallet.

A seguire c’è la necessità di sviluppare una grandissima quantità di DApp e cioè le applicazioni software da eseguire su Web3 e sulle blockchain. Il 2021 è stato un anno di fortissima crescita del numero di sviluppatori nel Web3 ma ci sono ancora molte sfide da affrontare per lo sviluppo di applicazioni decentralizzate che serviranno a “sostituire e/o adattare” le tantissime del Web2.

Ed infine la privacy che è un argomento sensibilissimo per il Web3 e le blockchain ma a cui non è stata ancora data la priorità che merita essendo ai primi posti i problemi di scalabilità, di adoption, di velocità e di costi, soprattutto energetici. Il problema sulle blockchain è piuttosto una derivata del concetto di privacy violata meglio conosciuto come front-running, un modo che i miner hanno di vedere per primi ed in chiaro l’oggetto delle transazioni per investire loro stessi e prima degli altri per raggiungere il MEV o valore massimo estraibile dalla transazione. Non è tanto l’anonimato dell’individuo, identificato da una stringa alfanumerica con chiave pubblica, quanto piuttosto il fatto che l’architettura potenzialmente espone informazioni sensibili ed economicamente appetibili a tutti i partecipanti di una rete.

Su tutti questi aspetti ci sarà ancora da lavorare ma è evidente che la macchina sia ormai in moto ad una velocità decisamente elevata e superiore a quella che ha caratterizzato il passaggio dal Web1 al Web2.

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