Metaverso, realtà ed economia virtuale, nuovi mondi digitali: partire col piede giusto, ora
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Approcciare l’idea della scoperta di nuovi pianeti è semplice e intuitivo, l’umanità, ovviamente quella della parte più ricca e tecnologicamente avanzata del globo, si ingegna per andare su nuovi pianeti magari con l’obiettivo di popolarli e viverci. E il metaverso?

Di Massimo Comito

È un fatto che da qualche tempo molti di noi stanno confrontandosi con il concetto di metaverso soprattutto da quando alla fine del 2021 Mark Zuckerberg ha deciso di dare il nome di “Meta” alla società capogruppo planetaria, che ha fondato e governa, al cui interno sono presenti, fra le altre, società del calibro di Facebook, Instagram e WhatsApp.

Nella lettera di presentazione del 28 ottobre 2021 di Meta definita come “azienda di tecnologia sociale” il fondatore annuncia: “Siamo all’inizio del prossimo capitolo per internet, ed è il prossimo capitolo anche per la nostra azienda” e spiega i tanti vantaggi che tutti noi potremmo avere attraverso la scrittura di questo nuovo capitolo, ben chiaro per lui.

Da allora, il metaverso, che non va confuso con l’azienda di tecnologia sociale suddetta, è diventato uno degli argomenti più affrontati su stampa e social media: l’obiettivo per tutti è di capire cosa sia, che tipo di opportunità di business rappresenti, come e attraverso chi e che cosa farne parte.

Poco si parla a mio parere di come prepararci per bene alle potenziali implicazioni che la “vita nei molteplici metaversi”, pensati e governati da terzi, potrebbero riservare all’intera umanità…ma forse perché siamo ai prodromi del fenomeno.

Zuckerberg prosegue: “Nel metaverso, sarete in grado di fare quasi tutto ciò che potete immaginare -riunirvi con gli amici e la famiglia, lavorare, imparare, giocare, fare acquisti, creare, così come [fare] esperienze completamente nuove e inimmaginabili con ciò che ci offrono i computer o i telefoni oggi”.

Il termine metaverso non è per niente nuovo e ci dicono essere stato usato per la prima volta in Snow Crash, un romanzo di fantascienza post-cyber-punk di Neal Stephenson pubblicato nel 1992 e ambientato in un’America alla fine del ventesimo secolo dominata da un’economia capitalistica che ha perso ogni eticità, dove ormai anche l’autorità statale ha ceduto il passo al potere economico delle grosse corporation e dove il metaverso era descritto appunto come una realtà virtuale in cui le persone apparivano in tre dimensioni attraverso un proprio avatar, ovvero un’immagine scelta ormai universalmente per auto-rappresentare se stessi in una qualsiasi comunità digitale semplice o complessa che sia.

Per gli amanti dell’etimologia, che spesso aiuta la comprensione e la memorizzazione del vero significato delle parole, il termine è un neologismo formato dalla fusione delle due parole, meta -“oltre” dal greco mentre nella lingua inglese è un prefisso che può connotare un concetto di “trascendenza”- e universo e si riferisce, almeno mentre ne parliamo, ad un modo di comunicare ed interagire con le persone e con gli ambienti attraverso internet e cioè in modo completamente virtuale ma in un ambiente -il metaverso appunto- che simula il mondo fisico e reale: un “universo digitale” che va oltre l’universo fisico che tutti conosciamo dove ciascuno di noi può e potrà sempre più rifugiarsi per gli scopi più diversi, ludici, di lavoro, commerciali, di moda, etici e meno etici.

Come non citare uno dei giochi più conosciuti da ormai un ventennio e cioè Second Life (il nome è molto evocativo) dove chi gioca crea un proprio avatar per interagire con il mondo circostante dove produce ed investe in beni digitali o “Avatar” il film del 2009 dove i componenti di una compagnia interplanetaria terrestre, attraverso i propri avatar, esplorano il pianeta Pandora ed interagiscono con i Na’vi, umanoidi indigeni che lo abitano. Nel film di Cameron, Pandora è un pianeta esistente ma ai nostri scopi, serve a fornire un modo molto intuitivo (per chi ha visto il film) per rappresentare come potrebbe essere un meraviglioso metaverso digitale e come un avatar potrebbe restituire al proprietario umano ogni sensazione derivante da una vita in un universo immaginario e costruito ad hoc da qualcun altro.

Oppure, molto più semplicemente, un metaverso può essere un gruppo di discussione, un forum su una qualunque piattaforma tecnologica, una videoconferenza in cui partecipare con un proprio avatar in un ufficio virtuale in tre dimensioni dove incontrare gli avatar dei propri colleghi o dei propri clienti, una classe virtuale con insegnante e compagni di classe sparsi ovunque nel mondo, un palcoscenico digitale dove un’artista può esibirsi come già fatto da Ariana Grande nel concerto tenuto sul metaverso dell’ormai celebre videogioco Fortnite pubblicato da Epic Games, una delle più famose aziende americane che sviluppano videogiochi.

Gli esempi fatti, forse spiegano perché le aziende di videogiochi sono oggi quelle che attirano l’interesse delle grandi corporation globali: ciò che sviluppano e producono offre l’esperienza più vicina al concetto di metaverso e in più i loro sviluppatori hanno da tempo allargato i confini del gioco che progettano con la creazione di eventi di ogni tipo e di vere e proprie economie virtuali supportate da pagamenti online e tecnologie blockchain (su cui si basano anche le criptovalute).

A quest’ultimo proposito stanno imponendosi gli ormai diffusi “Non Fungible Token – Nft”, che sono dei “gettoni” non “fungibili” (non intercambiabili, non sostituibili). Sono veri e propri “certificati digitali che attestano la proprietà di un bene” -un disegno, il primo sms con un “Merry Christmas” spedito su un telefonino Nokia dall’ing. di Vodafone Neil Papworth, un tweet storico, un file gif, un video di collezioni o di capi di moda virtuali unici- e la cui autenticità e unicità è garantita dalla sua registrazione su blockchain.

È recente la notizia di un fan del famoso rapper californiano Snopp Dogg, “costruttore” di Snoopverse -il proprio metaverso sulla piattaforma online play to earn, The Sandbox- che ha acquistato una “casa virtuale” accanto a quella di Snoop Dogg per il valore di 350,000 dollari ottenendo, si dice, accessi esclusivi alle feste digitali che il rapper organizza, simili a quelle della sua vera villa in California.

Così come la notizia che la società di Hong Kong Animoca Brands, che ha sviluppato appunto The Sandbox e che opera nel mercato dei videogiochi basati sulla blockchain, ha annunciato, per bocca di uno dei fondatori, di aver raccolto sui mercati finanziari in un baleno 360 milioni di dollari per “realizzare un Web3 aperto” e “facilitare un metaverso aperto che espande l’inclusione finanziaria” e quella che il consiglio di amministrazione di Microsoft ha appena approvato l’acquisto del gigante di videogiochi Activision Blizzard per l’astronomica cifra di 68,7 miliardi di dollari.

Come già avvenuto una ventina di anni fa per il World Wide Web e più recentemente per i social media, prestissimo altri attori, altre aziende in svariati mercati, cominceranno ad approdare nel metaverso: dall’auto, all’arredamento, al cibo, all’arte, alla moda, il metaverso può rappresentare per le aziende il modo più efficace per assicurare una migliore esperienza sensoriale relativa ai propri prodotti/beni a clienti e stakeholder: basta progettare e sviluppare il proprio.

Un veloce accenno va doverosamente fatto alle tecnologie e le performance delle reti di comunicazione, presenti e future, che già abilitano l’accesso a questi universi digitali e decreteranno o meno se il metaverso diventerà qualcosa di veramente pregnante per l’umanità: gli enormi investimenti annunciati dalle Big Tech company -GAFAM- ovvero Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft lasciano presagire sicuramente questo.

Va considerato che il metaverso non è solo un app, un dispositivo, una piattaforma o un’esperienza, ma piuttosto un insieme strutturalmente integrato di tutte queste cose, un sistema globale di app, dispositivi, piattaforme ed esperienze, secondo la definizione che ne dà Zuckerberg “un internet incarnata dove sei nell’esperienza, e non la stai solo osservando (an embodied internet where you’re in the experience, not just looking at it)”.

Ma perché ciò accada, sarà necessaria l’introduzione e l’uso di massa di innumerevoli nuove tecnologie, protocolli e innovazioni: oggi il metaverso è ancora poco più che un social network e le tantissime persone che stanno frequentando diversi mondi virtuali quotidianamente -spendendo decine di migliaia di ore al mese al loro interno- magari non utilizzano la principale tecnologia necessaria e cioè la XR, perché non ancora molto diffusa o poco funzionale ed ergonomica.

Saranno necessari appunto forti sviluppi della cosiddetta Extended Reality (XR), nel novero delle tecnologie hardware immersive che trasformano il modo in cui le persone percepiscono ed interagiscono con la realtà, di nuovi modelli di interazione uomo-computer e di nuove ergonomie dei device: dalla Virtual Reality (VR) attraverso l’utilizzo di visori indossabili, cuffie e guanti tattili, all’Augmented Reality (AR) che consente di sovrapporre “amplificandoli” contenuti generati dal computer sul mondo realeo la Mixed Reality (MR) realizzata grazie a dispositivi che consentono all’utente di interagire indistintamente con oggetti sia reali che digitali. E siccome l’immaginazione dell’uomo “corre” pensiamo pure a piccoli ambienti attrezzati per l’Extended Reality, autosufficienti energeticamente e in rete, climatizzati e dotati di attrezzature per nutrizione artificiale: per quanto tempo sarà possibile “vivere” continuativamente in un metaverso? Quante le ore di servizio per la manutenzione corporea e tecnologica?

Inoltre per assicurare il necessario livello di realismo all’utente, la velocità e la latenza della rete sono e saranno cruciali così come saranno cruciali le transazioni economiche veloci e sicure: quindi non solo hardware e dispositivi “da abitare” o indossare, anche edge computing diffuso attraverso servizi di cloud e CDN (Content Delivery Network), reti in fibra, reti wireless 5G o reti satellitari in orbita bassa, alta potenza di calcolo con basso consumo energetico e ad un costo accessibile, sistemi di pagamento sofisticati con tecnologia blockchain affidabile.

E poiché quasi tutto quello elencato sopra è già una realtà, sebbene in forte sviluppo, sia chiaro a tutti che non ricorderemo un “prima” e un “dopo” il metaverso: il metaverso è già con noi mentre ne parliamo, dobbiamo progettarlo bene ma soprattutto governarne lo sviluppo.

Secondo il fondatore di Meta “il metaverso non sarà creato da una sola azienda. Sarà costruito da creatori e sviluppatori che creano nuove esperienze e oggetti digitali che sono interoperabili e sbloccano un’economia creativa molto più grande di quella limitata dalle piattaforme di oggi e dalle loro politiche”.

Detto in altre parole ciò vuol dire che senza governare il fenomeno, improvvisamente, potremmo ritrovarci un bel numero di metaversi, -in cui immergerci e, ahinoi “essere orientati” dallo sviluppatore di turno- che potranno (o dovranno?) essere interoperabili fra loro: l’esempio più calzante, così come raccontato dal New York Times, è la storia di una coppia che si è voluta sposare -solo virtualmente!- su un metaverso della piattaforma Virbela e che ha chiesto agli ospiti di creare i propri avatar sulla stessa piattaforma non essendo questa interoperabile con nessun’altra che ospita altri metaversi. Quale è il metaverso giusto? Quale è preferibile in una varietà di metaversi?

Un argomento, questo della interoperabilità, molto delicato insieme a quello, a cavallo fra la morale e la legge, che riguarda ovviamente il “tipo di vita e di comportamenti” che qualcuno ci “propinerà” in un universo virtuale: il delicatissimo problema che accompagna l’attività dei social network che non possiamo assolutamente sottovalutare.

Quali modelli regolatori delle reti di comunicazione, dei contenuti e delle tecnologie -nazionali o piuttosto mondiali, vista la globalità dei mondi digitali- il metaverso dovrà adottare: un modello totalmente regolato quale quello delle telecomunicazioni, un modello internet-like con regolamentazione inesistente o più leggera, un modello walled garden che controlla rigidamente l’accesso dell’utente a contenuti e servizi per permettere o impedire l’accesso a una selezione di contenuti -in questo caso di mondi- e non di altri?

Per non sottovalutare anche le sfide che le organizzazioni regolatorie antitrust, nazionali, comunitarie europee, americane, globali, dovranno affrontare a brevissimo per scongiurare le posizioni dominanti che già si profilano su questo mercato. È notizia di questi giorni che Margrethe Vestager, commissaria europea alla concorrenza, intervistata da Politico.eu ha affermato parlando di metaverso: “Dovremmo iniziare a pensarci ora” quando si tratta di regolare i nuovi spazi digitali.

Forse, per dirla con le parole del celebre giurista, filosofo del diritto e della politica, Luigi Ferrajoli nel suo interessantissimo libro “Per una Costituzione della Terra. L’umanità al bivio” edito da Feltrinelli: “Esistono problemi globali che non fanno parte dell’agenda politica dei governi nazionali, anche se dalla loro soluzione dipende la sopravvivenza dell’umanità”.

Questo del metaverso, insieme “al riscaldamento climatico, il pericolo di conflitti nucleari, le disuguaglianze, la morte di milioni di persone ogni anno per mancanza di alimentazione di base e di farmaci salva-vita e le centinaia di migliaia di migranti in fuga” può essere uno dei temi da inserire nei problemi globali di cui parla Ferrajoli per renderli, purché ben governati, le tante opportunità di cui ci parla Zuckerberg nella sua lettera di presentazione di Meta del 28 ottobre 2021.

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