Il metaverso, la nuova “isola che non c’è” (digitale) in cui tutti vogliono entrare, e che anticipa il futuro. Ma parliamo davvero del futuro o di una moda passeggera, ovvero di una bolla che presto esploderà?
Di Maurizio Pimpinella
In questo momento, è difficile ipotizzare che si tratti solo di una moda stile dot com che tenderà presto a sgonfiarsi fino ad implodere. Troppi gli investimenti, troppi i progetti terribilmente concreti per pensare che il mercato abbandoni il settore sul più bello. Prendiamo, ad esempio, gli NFT. Si tratta di opere del tutto immateriali, disponibili sono in determinati contesti digitali la cui compravendita frutta però centinaia di migliaia di dollari e il cui valore – almeno secondo gli analisti di Jefferies – arriverà a circa 80 miliardi di dollari entro il 2025. Ebbene, tali beni sembrerebbero essere i candidati perfetti per essere coinvolti dalla prossima bolla speculativa. Questa è però una previsione quantomeno azzardata se non del tutto improbabile. Sicuramente, di speculazione si tratta ma a fini di investimento, tanto che essendo gli NFT dei beni che per ora non pagano tasse stanno diventando – un po’ come i bitcoin che vengono spesso usati per scambiarli – un vero e proprio bene rifugio cui si rivolge sempre più sia chi desidera fare rapidi guadagni sia chi cerca di mettere a riparo i propri averi da occhi indiscreti (è il caso, ad esempio, di quanto sta succedendo oggi con gli oligarchi russi). È evidente che tale mercato dovrà cambiare, entreranno maggiori regole e controlli (come quelle che ad esempio in Italia si stanno sviluppando nel registro OAM – Organismo Agenti Mediatori – sulle cripto attività), ma crescerà necessariamente aumentando in qualità, ricercatezza ed esclusività. Tutte le più grandi compagnie del mondo di tutti i settori, da Nike a Gucci, da Microsoft a Meta, da Deutsche Telekom ad AXA, da Ferrari ad Adidas (solo per fare alcuni esempi) stanno investendo fortemente in questo settore proponendo prodotti e commodities di ogni genere per trarne un enorme profitto.
In realtà, quindi, questo mondo che non c’è presenta molte più opportunità concrete di quanto si possa immaginare. Secondo alcune stime, il mercato del metaverso potrà arrivare a valere 800 miliardi di dollari da qui al 2024 e già oggi rappresenta un terreno ancora in gran parte vergine ma estremamente fertile da coltivare se pensiamo che secondo una ricerca di Sensemakers solo il 25% degli italiani sa cosa sia e ne conosce almeno in parte le opportunità. Numerose sono anche le start-up che stanno iniziando a sfruttare il binomio NFT metaverso in vari ambiti, tra cui quello dell’arte.
Il vero problema del metaverso – un po’ come tanti altri contesti contemporanei dalla PA in giù – sarà presto quello dell’interoperabilità dei sistemi e quindi degli avatar. Al momento, esistono già diversi contesti virtuali (e molti di più verosimilmente ne nasceranno), ma è sostanzialmente impossibile passare da uno all’altro rimanendo sé stessi, mentre è necessario creare più “gemelli” dell’originale, ciò che alla lunga può creare qualche problema tutt’altro che trascurabile per chi magari ha investito milioni di euro in un NFT di pregio che intende sfoggiare ad ogni occasione.
Considerare quindi il metaverso come una bolla è riduttivo e appartiene ad un modo di vedere che gode di scarsa lungimiranza. È vero che non possiamo sapere quanto delle nostre vite reali si trasferirà effettivamente in quel luogo – financo le nostre coscienze, un po’ come accade nella serie di Amazon Prime Upload – ma non possiamo certo dubitare che ricoprirà un ruolo rilevante in esse.