La Convenzione di Faro nel processo innovativo della scuola
Convenzione di Faro

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LA CONVENZIONE DI FARO è una convenzione unica sul patrimonio culturale che ne sottolinea il valore e il potenziale come una risorsa per lo sviluppo sostenibile e la qualità della vita in una società costantemente in evoluzione. Enfatizza importanti aspetti del patrimonio culturale in relazione ai diritti umani e alla democrazia. Promuove una più ampia comprensione del patrimonio e delle sue relazioni con le comunità e la società e incoraggia i cittadini a riconoscere l’importanza di oggetti e siti del patrimonio culturale attraverso i significati e i valori che questi elementi rappresentano per loro.

Di Marco Di Paolo

I suoi obiettivi sono:

  1. riconoscere che il diritto al patrimonio culturale è inerente al diritto di partecipare alla vita culturale, così come definito nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo;
  2. riconoscere una responsabilità individuale e collettiva nei confronti del patrimonio culturale;
  3. sottolineare che la conservazione del patrimonio culturale, ed il relativo uso durevole, hanno come obiettivo lo sviluppo umano e la qualità della vita;
  4. prendere le misure necessarie per applicare le disposizioni di questa Convenzione riguardo:
    • al ruolo del patrimonio culturale nella costruzione di una società pacifica e democratica, nei processi di sviluppo durevole nella promozione della diversità culturale;
    • ad una maggiore sinergia di competenze fra tutti gli attori pubblici

Nel corso di questi anni la Convenzione ha innescato una profonda rivisitazione del concetto di Eredità Culturale legandola indissolubilmente alle comunità; ha sostenuto un uso critico e consapevole delle tecnologie digitali quale modalità di inclusione e di partecipazione di tutte le diverse componenti sociali, culturali, generazionali, quale strumento di autorappresentazione e definizione del patrimonio culturale condiviso. Essa mira anche alla valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici presenti nei territori, nell’esercizio del diritto alla cultura, del diritto all’istruzione, del diritto all’innovazione. Le metodologie e tecnologie digitali, infatti, stanno offrendo la possibilità di raccogliere, condividere e archiviare/conservare, e al contempo, di selezionare, porre in luce, analizzare criticamente ciò che rappresenta nel passato, nel presente e nel futuro, il patrimonio che caratterizza l’individuo.

Calandoci nella dimensione del sistema di istruzione e formazione, l’educazione al Patrimonio Culturale rappresenta un incubatore di processi, metodologie, contenuti, saperi, finalizzati al successo formativo degli studenti, secondo quelli che sono i principi fondanti dell’Autonomia Scolastica, sanciti dal DPR 275/99; un’autonomia che si esplicita nell’organizzazione, nella didattica, nella progettazione-sviluppo e ricerca, nella gestione amministrativa. Ma cosa significa “Educare al patrimonio culturale nell’era digitale”? Significa elaborare un’offerta formativa, coordinata con il Sistema Nazionale, al fine di costruire il complesso delle competenze digitali indispensabile al confronto sempre più articolato ed eterogeneo con la smart society, secondo una logica di scalabilità a livello europeo e alla luce delle più avanzate attività di ricerca e innovazione. Le parole chiave dell’Educazione al Patrimonio Culturale sono: SCUOLA – INNOVAZIONE – PATRIMONIO CULTURALE – DIGITALIZZAZIONE – ENGAGMENT – FORMAZIONE – COMPETENZE.

Il rapporto tra scuola – innovazione – accesso alla cultura rappresenta il principale asse strategico della L.107/15. La scuola è il luogo in cui si pongono le basi ad una piena cittadinanza, alle cui fondamenta c’è l’accesso alla cultura. L’accesso alla cultura, all’istruzione rappresentano i temi fondamentali di diritti individuali per costruire una società democratica. Tutto ciò avviene nel luogo della scuola, attraverso il perseguimento di competenze, di costruzione di conoscenze, quindi di cultura; un luogo, quello della scuola che diventa centro civico – catalizzatore di comunità – attivatore di comunità attraverso gli studenti e le studentesse.

Chi sta svolgendo un ruolo decisivo, all’interno di questo processo, nella compagine istituzionale, è il Piano Nazionale Scuola Digitale del Ministero dell’Istruzione, che, in particolar modo con le azioni #25 e #28 mira a definire le competenze di cui hanno bisogno i nostri studenti per allinearsi al XXI secolo, tenendo conto di nuove alfabetizzazioni, ma soprattutto di competenze trasversali e di attitudini da sviluppare. In questo paradigma, gli studenti devono essere consapevoli di ambienti e di strumenti digitali, ma anche produttori, creatori, progettisti. Al contempo, i docenti assumono il ruolo di mentori e facilitatori di percorsi didattici innovativi, basati su contenuti più familiari agli studenti e funzionali allo sviluppo della creatività degli stessi.

Tutto ciò si concretizza in un’interconnessione tra il Piano per l’Educazione al Patrimonio Culturale, le 8 competenze SKILLS della Strategia di Lisbona ed il Piano Nazionale Scuola Digitale, in termini di accessibilità e partecipazione alla cultura.

In questo contesto, la grande sfida della didattica innovativa, definita anche didattica per competenze, consiste nel concentrare l’attenzione sulla dimensione prestazionale dell’apprendimento, ovvero su ciò che il soggetto fa con le sue risorse personali, quelle che ha a disposizione, in termini di compiti di realtà e compiti autentici, quali strumenti di valutazione del proprio agito, all’interno di un determinato dominio di competenza.

A tal proposito, il prof. Mario Castoldi – docente di Didattica e Pedagogia Speciale presso l’Università di Torino – sostiene che i compiti autentici mirano a sollecitare gli studenti all’impiego delle proprie conoscenze, abilità, disposizioni emotive e cognitive, per elaborare risposte a compiti significativi agganciati alla realtà, per rilevare il livello di competenza raggiunto dall’allievo, non solo in termini di conoscenze ed abilità, che mirano a riprodurre semplicemente un sapere, ma anche secondo quella pluralità di dimensioni che gli consentono una rielaborazione originale e funzionale ad un determinato contesto d’azione di un determinato sapere. Per cui, le parole chiave del percorso valutativo non sono più:

  1. Riconoscere;
  2. Riprodurre;
  3. Scegliere;
  4. Rispondere. bensì diventano:
  5. Inventare;
  6. Ricercare;
  7. Applicare;
  8. Rielaborare.

In questo contesto il patrimonio culturale, quale sistema a carattere multidimensionale e pluridisciplinare, costituisce un fattore educativo e formativo determinante per la generazione nativa digitale e, contestualmente, oltre a promuovere un rapporto consapevole con il territorio suggerisce l’opportunità di potenziare forme di interazione con le risorse culturali in linea con i tempi. Si mobilitano, così, le diverse dimensioni dell’apprendimento:

  • Risorse cognitive;
  • Processi cognitivi e/o operativi;
  • Disposizioni ad agire;

sollecitando una loro integrazione per affrontare e risolvere i problemi, implicitamente sviluppano nei ragazzi anche un senso di responsabilità.

Ecco che, parlando di didattica per competenze, di patrimonio culturale, arriviamo alla definizione di Titolarità culturale, quale evoluzione del concetto di competenza, definita dalle Raccomandazioni della Comunità Europea del 2008, che si declina nei termini di autonomia e responsabilità.

Sottesi allo spirito della Convenzione di Faro ci sono, difatti, i concetti di “TITOLARITÀ’ CULTURALE” e di “PRESA IN CARICO” – concetti sviluppati dal prof. Germano Paini, Docente di Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi presso l’Università di Torino, nonché presidente del Comitato Tecnico Scientifico dell’Associazione Internazionale Scuola a Rete Diculther – di una responsabilità comune e condivisa rispetto a un bene comune, che ereditiamo dal passato e che abbiamo la possibilità di progettare e co-creare oggi nell’ambito degli ecosistemi culturali in cui viviamo, sperimentiamo ed esercitiamo, con la prospettiva di lasciare a nostra volta questa eredità a chi verrà dopo di noi.

Secondo, quindi la logica della Convenzione di Faro, nonché dell’educazione allo Sviluppo Sostenibile, nello spirto del processo innovativo dell’apprendimento, ma soprattutto dell’insegnamento, è necessario ridurre la parcellizzazione che caratterizza le discipline tradizionali, e bisogna educare al patrimonio culturale nella sua globalità, superando la visione estetizzante dell’insegnamento della sola storia dell’arte e dando spazio alla co-creazione di nuovo patrimonio culturale da parte dei giovani e delle comunità di patrimonio di cui fanno parte.

Tutto questo come risposta al gap denunciato da Edgar Morin nel 2002, nell’ambito di un’intervista filmata in Francia nel 2003 a cura di Eugenio Paterlini, P. Nasutti, A. Corradini, per conto dell’Assessorato servizi e pari opportunità del comune di Reggio Emilia, dal titolo: “Educazione e globalizzazione. In un mondo che spinge a differenze e specializzazioni di saperi, la scuola può riuscire a ricomporre le conoscenze?” Edgar Morin affermava:

Ciò che manca al nostro sistema educativo è un insegnamento dedicato all’epoca planetaria che noi viviamo Nulla ci insegna lo stato del mondo in cui siamo ”.

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