Lavoro autonomo economicamente dipendente
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L’unica certezza sulla normativa in materia di lavoro parasubordinato e autonomo, ormai, è che essa conferma la condizione di debolezza economica del lavoratore, sia autonomo che subordinato, e l’aumento del rischio di precarizzazione, con l’ulteriore criticità che il fenomeno non è circoscrivibile all’interno di confini geografici nazionali.

di Riccardo Fratini – Avvocato in Roma e assegnista di ricerca presso l’Un. di Roma “Tor Vergata

La crisi del welfare state ha comportato, nella maggior parte degli ordinamenti giuridici europei, il problema dell’affievolimento dei meccanismi di tutela e di protezione sociale per i lavoratori precari e discontinui.

Per i cd. gig workers la mancanza di protezione anche dai rischi più comuni è ancora più accentuata rispetto agli altri lavoratori precari, in ragione dell’eccessiva parcellizzazione e destrutturazione dell’attività lavorativa che sono chiamati a svolgere.

Data l’eterogeneità dei rapporti di lavoro che nascono e si sviluppano nelle piattaforme digitali, al problema delle tutele sociali non sembra più fornire risposta la tradizionale forma di tutela ancorata ad una determinata modalità – quella eterodiretta – di strutturare un’attività lavorativa sul piano organizzativo e funzionale.

La ragione di questa incapacità è da ricercare principalmente nel mutamento dell’attività svolta dalla maggior parte della forza-lavoro, ormai impiegata nel settore terziario e nei servizi, mentre solo una minima porzione della popolazione è adibita alla produzione industriale in senso stretto ed al settore primario.

Ciò ha determinato un cambio delle mansioni prevalenti a livello sociale, che per la verità si è determinato già da oltre trent’anni, sin dalla fine degli anni 80 del secolo scorso, quando solo il 30% della popolazione era impiegato nei settori primario e secondario.

Il tentativo di strutturare un sistema di protezione valido per tutti i lavoratori in condizioni di vulnerabilità economica e sociale è stato iniziato a livello europeo prima con il parere 2011/C 18/08 del Comitato economico e sociale europeo e poi con la Risoluzione del Parlamento europeo del 19 gennaio 2017, 2016/2095, su un pilastro europeo dei diritti sociali.

L’Unione europea da un lato ribadiva la necessità di stabilire degli standard minimi di tutela per tutti i lavoratori a prescindere dalla loro qualificazione, dall’altro, avviava la riflessione sullo spostamento dell’asse delle tutele verso la «dipendenza economica» quale nuova situazione portante delle tutele rispetto all’etero-direzione .

Nel lavoro reso mediante le piattaforme digitali, ad esempio, secondo questa logica, le tutele sociali potrebbero essere offerte attraverso cd. «umbrella companies» che svolgano una funzione di «assistenza e protezione mutualistica» per garantire adeguate coperture previdenziali e continuità di reddito ai lavoratori on demand.

In via alternativa, sul modello dell’art. 54 bis, legge n. 81/2017 per il lavoro occasionale, la tutela (almeno parziale) potrebbe essere garantita mediante un voucher virtuale in cui ricomprendere la contribuzione previdenziale (realizzando una interconnessione tra la piattaforma INPS e le varie piattaforme digitali) .

Nonostante queste ipotesi possano costituire solo una soluzione provvisoria, esse iniziano a paventare una compagine di tutele lavoristiche che sappia prescindere dalla questione tipologica, riflessione che potrebbe condurre progressivamente allo sviluppo di una nuova categoria, che ora paventiamo solo come «dipendenza economica», ma che in definitiva sappia distinguere in modo più efficiente i lavoratori deboli da quelli realmente autonomi.

Nel breve periodo, però, occorre considerare anche il rischio che la costruzione repentina di una nuova categoria giuridica su una fattispecie che è ancora in divenire potrebbe risultare inadeguata a governare le molteplici fattispecie emergenti. L’impatto dell’Internet of Things (IoT) e della robotizzazione non si limita infatti all’effetto di sostituzione tra meccanizzazione e lavoro dipendente, ma si estende ben oltre.

Il mercato del lavoro è una «costruzione artificiale resa possibile dal diritto e dal concorso delle forze sociali»  e, nell’ottocento liberale e capitalista, ha dato origine al lavoro salariato, in cui unica variabile tra un lavoratore ed un altro era il tempo di lavoro, elemento che di conseguenza poneva al centro l’etero-direzione quale elemento della fattispecie e la stabilità dell’impiego  come tutela principale.

Le nuove aziende dell’era digitale, invece, richiedono generalmente figure specializzate, dinamiche e flessibili, caratteristiche che rendono problematici i tentativi di riconduzione alle categorie di inquadramento già note. Alcune delle figure professionali che operano in queste aziende non trovano ormai alcuna corrispondenza nelle tradizionali categorie contrattuali.

Non è più il tempo (e quindi l’orario) ad essere al centro dei bisogni aziendali, ma l’esigenza di professionalizzazione  dei lavoratori, che conferisce valore al lavoro svolto in base alla qualità della prestazione ed alla valutazione sociale della stessa, cui consegue la collocazione del lavoratore su scale gerarchiche in relazione agli altri lavoratori.

Su questo tema, le innovazioni tecnologiche hanno comportato da una parte la perdita di importanza di competenze e professionalità con rilevanza interdisciplinare, e dall’altra il rafforzamento delle competenze specialistiche.

Le nuove tecnologie, infatti, tendono a favorire i lavoratori più specializzati e a ridurre la necessità di mansioni che richiedono livelli di preparazione intermedia . È noto, ormai, infatti il fenomeno di polarizzazione delle mansioni (Polarisierte Organisation)  che determina una sempre più marcata differenziazione dei compiti tra lavoratori addetti a mansioni semplici e lavoratori qualificati, con prevalenza anche numerica di questi ultimi.

Nelle aziende, pertanto, si distinguono in misura sempre maggiore due categorie di lavoratori: una legata al vecchio paradigma, che svolge pochi compiti standardizzati e ripetitivi, con mansioni regolari e senza margini di flessibilità, e una che invece va a ricoprire mansioni di grande responsabilità e autonomia, pur estremamente differenti l’una dall’altra, il cui fattore comune è lo skill di «problem solving».

Da ciò consegue il progressivo raggruppamento delle mansioni in «sciami» (Schwarm-Organisation), che è conseguenza diretta dell’effetto sostitutivo della meccanizzazione: una volta completato il processo di sostituzione delle mansioni routinarie con processi automatizzati, infatti, saranno lasciate all’apporto dell’uomo solo le mansioni intermedie creative, autonome, non predefinite ed indivise, che attengono al controllo ed alla risoluzione di problemi nei processi, mentre ogni mansione ripetitiva e standardizzata è affidata interamente all’intelligenza artificiale.

È chiaro quindi che il lavoro tramite piattaforma – e forse ormai proprio il lavoro in generale – si presenta privo del connotato essenziale per la configurabilità della subordinazione  in quanto risulta del tutto assente l’assoggettamento  che ne costituisce il tratto essenziale e determinate.

Al contrario, sussistono ampie sfere di libertà ormai anche nel lavoro subordinato ed è proprio questo a rendere difficile se non impossibile la distinzione , proprio perché i modelli organizzativi d’impresa sono sempre più legati al progetto/risultato e sempre meno alla dimensione spazio-temporale della prestazione .

Da qui la categoria concettuale alternativa del «lavoro economicamente dipendente», che costituisce una nozione sociologicamente concorrente con quella di subordinazione/eterodirezione, anche se di fatto essa non è mai stata oggetto di particolare attenzione da parte del legislatore interno.

La ragione di tale noncuranza attiene secondo alcuni  essenzialmente alla sua intrinseca incertezza, che nasconderebbe una potenzialità altamente destabilizzante del sistema vigente.

A fronte del multiforme e tuttora sfuggente mondo del lavoro, il ricorso ad un siffatto indice alternativo potrebbe semplicemente non condurre al risultato sperato di fornire alle tutele una base di fattispecie più salda, dal momento che, ad esempio, non sempre la relazione contrattuale del nuovo lavoro costituisce la fonte esclusiva o principale di reddito del lavoratore digitale, proprio perché si tratta di «lavoretti» , di tanti micro-task  che, in uno scenario di concorrenza globale, sono favoriti rispetto all’istaurazione di vincoli di mono-committenza.

Un altro aspetto economicamente rilevante, a cui si potrebbe dare rilievo nella costruzione della nuova fattispecie, potrebbe essere il «controllo» dell’impresa sull’ opera o servizio nell’ambito del quale il lavoratore presta la propria attività, come si evince anche dalla ricostruzione proposta nel «caso Uber»  dall’Avvocato Generale e dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

In quel contesto, infatti, emergeva come il servizio di Uber veniva reso da autisti che si prestavano «volontariamente» per il «passaggio», ma secondo condizioni imposte da Uber e vincolanti per gli autisti e, sebbene non esistessero norme sull’orario di lavoro, sarebbe «evidente», secondo l’Avvocato Generale, che la maggior parte dei viaggi sono effettuati da conducenti per i quali Uber è l’unica o almeno la principale fonte di reddito.

I conducenti ricevevano, inoltre, un compenso economico da Uber se accumulavano un gran numero di viaggi e la piattaforma li informava circa dove e quando potevano contare su un numero elevato di viaggi e/o di tariffe preferenziali.

Pertanto, pur senza imporre vincoli formali ai conducenti, Uber era in grado di adeguare la propria offerta alle fluttuazioni della domanda ed esercitava, quindi, il «controllo» sull’organizzazione di tutti gli aspetti rilevanti di un servizio di trasporto urbano, determinando, anche se con mezzi economici e non mediante l’esercizio di una eterodirezione, il comportamento dei conducenti.

Un controllo indiretto come quello esercitato da Uber, basato su incentivi finanziari e rating decentrati effettuati dai passeggeri, secondo le conclusioni rassegnate nel caso, consentirebbe di gestire l’impresa in modo altrettanto efficace – se non più efficace – di una gestione basata su ordini formali impartiti da un datore di lavoro ai propri dipendenti e sul controllo diretto dell’esecuzione di tali ordini .

Questi cambiamenti economici inerenti il rapporto tra attività dei singoli prestatori e organizzazione d’impresa ha travolto oramai persino il lavoro autonomo genuino e tutto quel complesso di contratti tra parte debole e parte forte, che in sempre più occasioni sono oggetto di valutazioni con riguardo allo squilibrio del sinallagma.

È la lingua del «contratto asimmetrico»  e nella L. 81/2017 (cd. Jobs Act Autonomi) erano previsti correttivi alle asimmetrie di potere contrattuale anche in rapporti tra imprese e professionisti nella misura in cui la dipendenza economica di una parte fosse frequente nella prassi e condizionasse relazioni di lunga durata, caratterizzate da una pluralità di contratti conclusi in successione nell’ambito di uno specifico quadro relazionale (cc.dd. «relational contracts»).

In questo tipo di stipulazioni, i lavoratori autonomi «deboli»  si contrappongono alle imprese o alle amministrazioni pubbliche in situazioni in cui lo squilibrio si realizza proprio sul terreno delle condizioni economiche del rapporto .

L’analisi degli attriti economici menzionati conduceva, quindi, persino a rivedere la posizione sui contratti stipulati da quelle professioni tradizionalmente forti, come quelle liberali, di cui nessuno avrebbe osato sindacare la salda collocazione nel tipo di lavoro autonomo.

Il processo virtuoso che investe il lavoro come attività svolta da una persona fisica, quindi, consiste ormai non nel qualificare i rapporti secondo schemi preconcetti ed ormai sfuggenti, ma nell’individuare l’esistenza di significative asimmetrie di mercato che collocano una parte in posizione di debolezza rispetto all’altra e conseguentemente una disciplina contrattuale orientata a proteggere la parte debole .

In prospettiva sistematica, la regolamentazione del lavoro autonomo debole dimostra che il diritto civile oramai non è da meno rispetto al diritto del lavoro dal punto di vista della predisposizione di uno strumentario delle tutele del contraente nei rapporti asimmetrici ed è ormai in grado di riacquistare invece una posizione centrale nel tentativo di fornire una risposta ai problemi della disciplina giuridica delle forme di collaborazione nella società contemporanea .

Sotto il profilo ricostruttivo generale, sembra allora che, a prescindere dall’esplicito riconoscimento del lavoro economicamente dipendente, la necessità di configurare una nuova fattispecie legata alla debolezza contrattuale trovi un’ulteriore conferma nel riconoscimento in ambito lavoristico della configurabilità dell’abuso di dipendenza economica, originariamente previsto dall’art. 9, L. 192/1998 e ora richiamato dal Jobs Act Autonomi (art. 3, c. 4, d.lgs. 81/2017).

Si considera dipendenza economica la situazione in cui un’impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa o nella specie con un lavoratore autonomo, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi, che deve essere valutato tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subito l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti.

La norma sull’abuso di dipendenza economica istituisce una clausola generale riconducibile al canone di buona fede nell’esecuzione del contratto ex art. 1375 cod. civ. con riferimento ai rapporti contrattuali sbilanciati tra soggetti economici.

Secondo alcuni autori, l’abuso di dipendenza economica andrebbe oramai inteso addirittura nei termini di una regola di portata generale , non priva di significato applicativo nella misura in cui potrebbe rappresentare la premessa argomentativa per estendere il divieto di abuso di dipendenza economica anche ad ipotesi cui la regolamentazione della L. 81/2017 non ha espressamente riguardo, come quella dei rapporti dei lavoratori autonomi con le Pubbliche Amministrazioni .

Anche restando sul piano dell’applicazione diretta del Jobs Act Autonomi, che si deve applicare anche alle collaborazioni, la «dipendenza economica» che determini l’eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi come di certo potrebbe configurarsi in ipotesi di rapporti di durata e quando ricorra uno stato di mono-committenza o committenza prevalente.

A questo punto, l’accertamento della dipendenza varrebbe a disapplicare le clausole concordate o i comportamenti del committente possano qualificarsi come «abusi», ma resterebbe complessa la determinazione di quali porzioni del sinallagma possano essere sindacate dal giudice su questo presupposto.

Alcuni hanno supposto che l’intervento riequilibratorio del giudice potrebbe dare forma a principi costituzionali anche per il caso di mono-committenza nel lavoro pacificamente autonomo, come ad esempio in materia di proporzionalità e sufficienza del compenso (art. 36 Cost.), di diritto al riposo (art. 36 co. 3), o di non-discriminazione (art. 37 Cost; art. 20 e parte V, art. E, Carta Sociale Europea).

Certo è che la lettera dell’art. 9 L. 192/1998 offrirebbe già una non trascurabile opportunità di modulare la protezione del contraente a seconda del livello di “debolezza”, aggiungendo, ad esempio, in caso di recesso, al preavviso dovuto senza “dipendenza economica”, la tutela risarcitoria connessa all’accertamento di una abusiva interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto (art. 3 co. 1, l. 81/2017) .

Certo è che la strada verso la ricerca di nuove tutele che prescindano dallo stato di subordinazione è tutt’altro che conclusa e sarà probabilmente questa la frontiera rimediale verso cui tendere: una tutela risarcitoria che prescinda dalla conservazione del posto, ma funga da deterrente per l’inadempimento contrattuale efficiente ed al recesso abusivo sia nel lavoro subordinato che nel lavoro autonomo.

Questo rimedio, a voler azzardare un vaticinio, probabilmente non potrà che contemplare uno schema di pena privata correlata all’accertamento dell’abuso compresa tra un minimo e un massimo edittale.

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