La tutela della privacy, la decentralizzazione e il nuovo Twitter a socio unico
La tutela della privacy la decentralizzazione e il nuovo Twitter a socio unico

Indice

La tutela della privacy deve rappresentare il faro per lo sviluppo delle architetture digitali, delle organizzazioni e delle tecnologie future, in una parola del Web3.

Di Massimo Comito

In un mio precedente articolo ho appena accennato alla privacy come uno dei principali valori da cui l’universo dei cripto asset, intesi sia come rappresentazioni digitali di valore protette da crittografia che come tecnologie abilitanti – dalle blockchain al Web3 decentralizzato – deve trarre forza ed origine e su cui potrebbe fondare il proprio successo.

Dicevo che “centralizzazione e stretto controllo e sfruttamento dei dati degli utenti” da parte delle aziende che gestiscono il Web2 – molto semplicemente la perdita della privacy a favore delle cosiddette big tech – potrebbero rappresentare i veri driver della spinta verso l’adozione e la diffusione del Web3 che è basato invece su un’architettura decentralizzata e su siti web realizzati con DApp eseguite su una rete blockchain di computer distribuiti.

La centralizzazione odierna si sostanzia nel controllo delle applicazioni  – almeno le più utilizzate – su piattaforme gestite dalle organizzazioni più ricche del pianeta che raccolgono, memorizzano e sfruttano i dati di miliardi di persone: singole aziende private, se non proprio alcuni stati, che non solo controllano l’esperienza degli utenti influenzandone il comportamento, ma che potenzialmente mettono pure in crisi mezzi primari di comunicazioni nel caso di guasti, più o meno estesi nel tempo, delle loro piattaforme centralizzate.

E questo, come scrive David Chaum, conosciuto come “The godfather of privacy”, nonostante l’internet delle origini, quella progettata dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti e dall’Internet Engineering Task Force (IETF), prevedesse che le singole parti della rete avrebbero dovuto interagire e funzionare senza fare affidamento su un singolo computer centralizzato per ridurne la vulnerabilità, aumentarne la resilienza tecnica e per evitare che aziende private, singoli paesi o addirittura singoli individui potessero controllare la rete, di computer e di persone.

Sono notizie di questi ultimi giorni sia l’annuncio di Elon Musk circa l’acquisto del 100% di Twitter e del successivo delisting dalla Borsa sia l’endorsement al fondatore di Tesla e SpaceX da parte di Jack Dorsey, co-fondatore e precedente Amministratore Delegato del social network in questione, preceduto dalla condivisione di un suo tweet che esprime una critica decisa nei confronti di Ethereum, la piattaforma digitale che permette di sviluppare applicazioni decentralizzate, tacciandola come una piattaforma con “many single point of failure”, cioè una piattaforma con molti punti di vulnerabilità cui Dorsey stesso non è affatto interessato.

Notizie queste che, solo a leggerle, dovrebbero immediatamente spingere l’industria e tutti i suoi stakeholder verso un più deciso impegno a favore della decentralizzazione come possibile baluardo contro “le concentrazioni” di qualsiasi genere, quanto meno verso un serio impegno per cercare di capire presto l’essenza del significato di un Twitter a “socio unico” – solo apparentemente con poco senso dal punto di vista finanziario, economico ed industriale – e per trovare le necessarie contromisure.

Quali sono i veri obiettivi di Musk? Perché improvvisamente decide di raggiungere – con notevoli impegni economici che, a detta del Financial Times, potrebbero addirittura impattare negativamente sulla situazione finanziaria di Tesla e/o di Twitter stessa per interessi da debito per l’acquisizione – la piena proprietà di un social media strutturalmente centralizzato? Perché ai prodromi dello sviluppo e forse dell’affermazione globale di un’economia basata sui cripto asset, per definizione decentralizzata? Perché proprio nel momento in cui l’Europa vara il Digital Service Act che imporrà ai grandi social network, fra gli altri, il controllo sulle fake news e sui contenuti “illegali”, spesso componenti importanti del loro stesso successo? Per trasformarlo alle fondamenta? Con un nuovo modello di business e con piattaforme open source magari decentralizzate? In nome della democrazia tanto decantata? Per non negare ad alcuno di esprimere il proprio parere qualunque esso sia e comunque sia espresso? Per dare la stura al free speech? Non è forse l’ennesima dimostrazione dell’enorme valore, sottovalutato dai più perché non compreso nella sua essenzialità, del controllo di dati ed esperienze commerciali, sociali e politiche, in una parola della “privacy”, degli utenti/cittadini del mondo?

Qualunque siano le risposte a queste domande, quanto sta accadendo a Twitter, ma in generale al mondo dei social network, specie in paesi a basso grado di democrazia, ci fornisce un segnale forte e chiaro che la “centralizzazione”, sia che sia legata all’architettura tecnologica che alla proprietà, è argomento molto delicato e sempre più lo sarà: la “difesa della privacy” a tutti i costi, dunque, come uno degli argomenti sensibilissimi da tenere sotto una maniacale attenzione per preservare e alimentare la transizione verso una decentralizzazione strutturale ed auto-immune da concentrazioni hardware, software e finanziarie.

Non solo qualcosa da difendere affidandone il controllo alle sole autorità regolatorie statali, almeno nei paesi che lo consentono, ma il “principio guida” per lo sviluppo delle architetture digitali, delle organizzazioni e delle tecnologie future.

Per dirla con le parole di Chaum:” non dovremmo essere sorpresi che i colossi della tecnologia siano diventati i nemici naturali della decentralizzazione: la centralizzazione è un istinto naturale per chi ha il controllo” … “La centralizzazione ha delle conseguenze”.

altri
articoli