Estratto da “Il divario – I servizi pubblici digitali tra aspettative e realtà” (Egea) per il Sole 24 Ore -Econopoly
Estratto da “Il divario – I servizi pubblici digitali tra aspettative e realtà” (Egea) per il Sole 24 Ore -Econopoly

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di Gianluca Sgueo, Prof. – Ecole d’affaires Publiques, SciencesPo

Tra il 2022 e il 2023 la popolazione mondiale supererà la soglia degli otto miliardi di abitanti. Saremo circa settecento milioni di individui in più rispetto al 2020 e – stando alle stime – circa duecento milioni in meno rispetto al 2025. Il 2022 segna anche il terzo anno consecutivo di pandemia. Ai più, nel mondo, consegna un futuro popolato soprattutto da incertezze. Salvo poche, selezionate, eccezioni. (…)

Una delle cose di cui siamo certi è che il futuro sarà più tecnologico. La mobilità, l’informazione, le relazioni sociali, la medicina, le transazioni finanziarie, i sistemi elettorali e le democrazie nel loro complesso: tutte queste aree evolveranno secondo logiche e dinamiche digitali. Ne conseguiranno effetti importanti per aziende, governi e cittadini.

Per le aziende già il presente è caratterizzato da volumi crescenti di investimenti tecnologici e corsa all’innovazione. Lo sarà ancora di più il futuro. Gli analisti stimano che la pandemia abbia prodotto un salto in avanti di sette anni nel percorso di digitalizzazione delle imprese a livello globale. Nella nuova fase di innovazione che va aprendosi in questi anni l’imperativo sarà interpretare i cambiamenti futuri in domanda di beni e servizi, rimanere innovativi e competere nel segmento di mercato di appartenenza. (…)

Anche per i governi il futuro tecnologico significa senz’altro investimenti crescenti nel settore, unitamente alla ricerca di assetti normativi funzionali a bilanciare pulsioni diverse – e contrapposte – nel campo dell’innovazione tecnologica. (…)La spinta alla competizione continuerà̀ a cercare un punto di equilibrio con la tutela dei diritti. Il lavoro sui nuovi assetti normativi sarà̀ particolarmente sfidante per i governi, sul versante della quantità̀ e su quello della qualità̀. Di quantità̀ delle regole si discuterà̀ ogni volta che qualcuno proporrà̀ di adottare nuove norme, ricordando le vicissitudini che tipicamente precedono il varo di nuove intraprese regolatorie e come queste possano essere di ostacolo al passo veloce dell’innovazione. Ascolteremo liberisti gridare «hack the rules!». Udiremo neo-protezionisti rispondere di rimando che le regole, se ben pensate, sono volano e non freno alla crescita. Regole di buona qualità̀, dunque. In Europa (ma lo stesso accade in molti sistemi giuridici extraeuropei) sono già aperti grandi cantieri normativi sulle tecnologie digitali. Si interessano dei servizi e dei mercati digitali, discutono la disciplina dell’intelligenza artificiale, definiscono i principi per stimare il valore e le protezioni dei dati. Quelli cosiddetti industriali, da soli, entro il 2025 dovrebbero raggiungere un volume complessivo di 175 zettabytes. Che logica seguiranno le istituzioni? Proprietaria, di sharing del valore o redistributiva? (…)

Per noi tutti, infine, più tecnologia significherà̀ vite ancora più semplici – addirittura (si può dire?) migliori. Lo consentiranno i progressi nel campo della telemedicina, della robotica, delle infrastrutture e delle connessioni mobili. (…)

Non ci sono dubbi. Con la tecnologia digitale in rapido avanzamento si aprono davanti a noi scenari inediti e affascinanti. Sono scenari cui occorre guardare con ottimismo. Senza però sottovalutarne i rischi. (…) Quello di gran lunga più importante di ogni altro è causa e conseguenza al tempo stesso del tragico errore in cui è incorsa finora la narrazione dei servizi pubblici digitali. Si tratta di questo: nella corsa al digitale sempre e ovunque stiamo dimenticando la complessità. Ne abbiamo sottovalutato negligentemente l’importanza e trasversalità̀ rispetto alle persone, alle strutture e alle decisioni pubbliche. È lei, la complessità̀, il vero, grande nodo gordiano del futuro. Scioglierne l’intreccio non significa semplificare. Al contrario, significa lasciarci alle spalle proprio l’imperativo della semplificazione – predicato, imposto e per questo finora largamente prevalso su ogni alternativa –, che paghiamo mutilando la nostra comprensione del mondo e la nostra capacità di risolverne i problemi. 

Sciogliere il nodo della complessità̀, allora. (…) Prima tra tutte, la complessità del fattore umano – la più importante. (…) Essa abbraccia due aspetti. Il primo, rappresentato dai movimenti tellurici che scuotono violentemente il mercato globale delle professioni e tra questi quello della funzione pubblica. Il secondo, relativo alla formazione e aggiornamento di competenze professionali adeguate a resistere a queste scosse, per ambire addirittura a governarle. (…)

C’è poi la complessità̀ delle decisioni pubbliche. Complessità̀ che, nel caso dei processi decisionali delle istituzioni, ruota intorno a due elementi – uno garantista, l’altro pratico. L’elemento garantista parte dal presupposto che non può̀ esserci, a parità̀ di condizioni, diversità̀ di trattamento tra cittadini da parte di un’istituzione che decide. Che cosa significa, allora, garantismo? (…) Assicurare sopra ogni altra cosa imparzialità̀ di giudizio, correttezza della valutazione ed eguaglianza delle soluzioni. Perché́ tutto questo accada, coloro che decidono impiegano necessariamente tempi più̀ lunghi rispetto a qualsiasi servizio privato. Non solo. Devono preservare tutte le complicazioni (di design e normative) che servono proprio a rendere le garanzie effetti- ve per chi ne ha bisogno.

Se invece ragioniamo da un punto di vista puramente pratico, dobbiamo riconoscere l’assoluta impossibilità per la pubblica amministrazione di assecondare l’andamento cairologico del tempo digitale. Questo appunto perché́ la pubblica amministrazione è tenuta al bilanciamento di tutti gli interessi che confluiscono nella sede in cui si prendono le decisioni. (…)

Infine, la complessità delle strutture (…). Essa risiede nella sovrapposizione di reti pubbliche, persone (professionisti ma anche cittadini), enti civici, aziende e servizi. Il pensiero antropologico contemporaneo propone di pensare le nostre società non più come reti, ma come reticoli (in inglese meshwork) mobili e trasformativi di identità. Allo stesso modo dobbiamo immaginare le nostre amministrazioni. Reticoli articolati, verticali e orizzontali, in cui attori pubblici e privati cooperano per un risultato. L’obiettivo è l’efficienza. Ma il percorso è accidentato e, di nuovo, esoso quanto a tempi e variabilità di risultato. (…)

Lo Stato, le istituzioni, il pubblico devono tornare a digerire, praticare e se occorre difendere la complessità. A 360 gradi. Partendo dal linguaggio, nella comunicazione verso i cittadini, nelle promesse legate al digitale. I ritardi, i viaggi incompiuti, la solitudine del cittadino, la confusione senza direzione: sono tutte conseguenze di divari percettivi maturati ed esacerbati dall’ostinazione alla semplificazione. Per contenere questi divari, trasmettendo il valore della complessità ai cittadini, è fondamentale la narrazione. La trasmissione di un’idea di viaggio che coinvolga, in modo diffuso e trasversale, interessi singoli e collettivi. 

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